Kenya, operatrice onlus: Poteva succedere ovunque

Di Marco Valsecchi

Nairobi (Kenya), 29 nov. (LaPresse) – “Qui la libertà è limitata: non esiste la passeggiata tranquilla e ci si abitua a non spostarsi di sera a piedi se non si è accompagnati da qualcuno del posto. Detto questo, oggi ci siamo confrontati tra noi e la sensazione è che che una rapina così poteva succedere anche in Italia o ovunque in Europa”. E.M. è un’operatrice italiana: da due anni e mezzo lavora in Kenya, a Nairobi, dove coordina le attività della onlus Aliche for Children, spesso a stretto contatto con l’ambiente delle baraccopoli. Raggiunta da LaPresse a poche ore dalla notizia dell’omicidio di Rita Fossaceca, racconta quelle che sono le preoccupazioni e le difficoltà con cui deve convivere chi lavora nel Paese africano.

D. Conosci la zona dove è avvenuto l’omicidio? R. Sono stata a Watamu e di passaggio a Malindi, le due città più vicine a Mijomboni, che si trova in una zona più rurale. Nell’area costiera ci sono molti italiani, sia turisti che residenti. Anche per questo tanto piccole onlus operano da quella parti. Il turismo, in particolare, è per la maggior parte italiano, motivo per cui molte persone del posto parlano la nostra lingua. Se si parla di pericoli legati alla criminalità e alla microcriminalità, Nairobi in quanto grande città è più esposta: per questo qui ogni casa ha grate alle finestre e porte blindate, in più è normale avere un guardiano per ogni compound. Non sono stata nel villaggio dove è avvenuta la rapina, ma nella zona della costa ho visto che – anche per come sono fatte le abitazioni – ci sono meno misure di sicurezza.

D. Dopo che la volontaria italiana è stata uccisa avete ricevuto comunicazioni da canali ufficiali? R. No, nessuna segnalazione. Non credo ce ne saranno: di solito veniamo contattati nel caso ci siano attacchi terroristici, dall’ambasciata e dalla Farnesina. Ma negli ultimi tempi l’allerta si è abbassata parecchio, l’ultimo attacco è stato in aprile. Quando ci sono situazioni del genere, ci arrivano e-mail dall’ambasciata con i consigli sui luoghi da evitare e gli accorgimenti da tenere durante gli spostamenti. In più c’è un network che collega tutte le ong italiane e che funziona molto bene.

D. Dal punto di vista della sicurezza, che cosa vuol dire essere un’italiana in Kenya? R. I piccoli furti sono frequenti, perché la percezione diffusa è che lo straniero sia più benestante. Quindi devo stare più attenta rispetto ad amici del luogo che pure hanno un buon tenore di vita. Ovvio, non c’è la libertà a cui siamo abituati in Italia: di sera non si gira da soli, sui mezzi pubblici si sta molto attenti alla borsa. In genere, però, si parla di microcriminalità. La cosa più grave successa a persone che conosco è trovarsi circondati da quattro rapinatori col machete. In quel caso i miei amici hanno lasciato tutto e i rapinatori sono scappati con le borse.

D. Ci sono regole da rispettare o accorgimenti da prendere nel momento in cui si visita il Paese? R. Dal punto di vista del rischio terrorismo, la zona di confine con la Somalia è off limits e a Nairobi sappiamo di dover fare attenzione quando andiamo nei centri commerciali. Sempre per motivi di sicurezza, nella zona degli slum non si può entrare. Per quanto riguarda i piccoli furti, semplicemente si evita di girare con oggetti di valore.