Dal nostro inviato Fabio De Ponte
Antalya (Turchia), 16 nov. (LaPresse) – Non si parla solo di terrorismo al G20 che si è aperto ieri per concludersi questo pomeriggio ad Antalya, nel sudovest della Turchia. Al centro del vertice anche i temi del clima, della crescita, dell’occupazione e dell’equità fiscale.
Prima di tutto il clima: a pochi giorni ormai dall’inizio della conferenza sul clima di Parigi, che si aprirà il 30 novembre, è decisivo spingere sull’acceleratore, in modo da poter arrivare a quell’appuntamento pronti un accordo ambizioso, in grado di rappresentare davvero una inversione di tendenza.
IL G7 IN BAVIERA. La cancelliera tedesca Angela Merkel ci aveva provato al G7 in Baviera, portando a casa uno storico risultato: l’endorsment dei sette Paesi più industrializzati del mondo verso un accordo che punti a evitare un surriscaldamento superiore ai due gradi centigradi, il che vorrebbe dire evitare di superare il punto di non ritorno del cambiamento climatico. Apparentemente qualcosa di non particolarmente impegnativo, ma che invece incontra eccezionali resistenze per i limiti alle emissioni che comporterebbe.
“TENERE CONTO DELLE DIFFERENZE NAZIONALI”. E lo dimostra la bozza di conclusioni del G20, che frena decisamente: “Ci si attende – si legge nel testo – che l’accordo sul cambiamento climatico della conferenza di Parigi sia equilibrato e rifletta equità e differenti circostanze nazionali”. Il passaggio è stato voluto dall’Arabia Saudita, molto restìa ad accettare impegni importanti sul cambiamento climatico, essendo tra i principali esportatori di petrolio e Paese con un territorio sul quale il cambiamento climatico avrà un effetto molto limitato.
TRATTATIVE SERRATE. Su questo punto i delegati – si apprende da fonti diplomatiche – hanno condotto trattative serrate. Usa, Francia, Germania e Italia speravano invece di arrivare alla conferenza sul clima con una posizione decisamente più forte.
RIDURRE LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE DEL 15%. Ma i leader si sono occupati anche della crisi, tema ormai non più dominante come un anno fa, ma difficile da considerare superato. E così hanno fissato nero su bianco l’impegno a ridurre del 15% entro il 2025 la disoccupazione giovanile, vera piaga dei Paesi sviluppati, che costituisce – insieme più in generale alla mancanza di lavoro – un impedimento anche all’integrare migranti e rifugiati.
“UN SISTEMA FISCALE EQUO”. E ancora, il G20 ha dedicato un passaggio del testo anche alla necessità di “realizzare misure per arricchire un sistema fiscale moderno e globalmente equo”. Il tema è spinto particolarmente dal presidente della Comunità economica degli Stati africani occidentali (Ecowas), il senegalese Macky Sall, anche lui presente (come istituzione ospite) a questo vertice, secondo il quale ogni anno le multinazionali drenano dall’Africa 60 miliardi in evasione fiscale.
LA DENUNCIA DI OXFAM. Il tema è caro anche alle organizzazioni non governative, che si affanno a ripetere che l’unico modo di togliere acqua alla pianta del fondamentalismo e di fermare gli esodi di massa è un impegno per lo sviluppo vero, fatto non solo di aiuti ma di giustizia: “Il G20 – ha detto ieri Price-Thomas, di Oxfam, nel corso di una conferenza stampa ad Antalya – sostiene di essere favorevole a una crescita inclusiva ma fa poco”. “Riforme fondamentali – spiega – sono necessarie per distribuire i benefici della crescita. In particolare servono riforme molto profonde del sistema fiscale delle grandi corporazioni”. Action Aid cita stime del Fmi secondo le quali le multinazionali portano via dai Paesi poveri 200 miliardi all’anno in evasione fiscale.