di Chiara Dalla Tomasina
Milano, 13 nov. (LaPresse) – Prima donna musulmana a ottenere il premio Nobel per la pace, nel 2003, Shirin Ebadi è una donna minuta ma tostissima. Una laurea in legge, diventa magistrato nel 1970 ma dopo la Rivoluzione islamica del 1979 fu costretta, come tutte le donne giudice, ad abbandonare la magistratura. Dal 1992 si dedica alla difesa di imputati politici. Nel 2003, con i proventi del Nobel, è tra i creatori del Center for the Defenders of Human Rights, chiuso cinque anni dopo dalle forze di sicurezza governative iraniane.
Nel 2009 Ebadi si trasferisce a Londra, dove prosegue la sua attività per i diritti umani e nel 2012 fonda il Center for Supporters of Human Rights. Attualmente, è anche membro del comitato d’onore di Fondazione Umberto Veronesi.
Dottoressa Ebadi, come si colloca l’Islam nel tema dei diritti umani?
“L’Islam è un mondo molto vasto, e la situazione dei diritti umani in tutto questo mondo così variegato dipende molto da dove viene trattata. Posso parlare del mio paese, l’Iran”.
Com’è la situazione del suo paese?
“In Iran la situazione dei diritti umani è così brutta che le Nazioni Unite hanno designato un osservatore apposito per controllare che cosa sta succedendo. In Iran viene giustiziata una persona ogni sette minuti. Tra queste persone ci sono sia prigionieri in carcere per motivi politici, sia molti minorenni: purtroppo, giustiziano anche loro. E poi c’è molta discriminazione basata sul genere”.
Ci può fare un esempio?
“Per legge, la vita della donna vale la metà della vita di un uomo. Se io e mio fratello siamo vittime di un incidente stradale, il risarcimento che ottengo io è la metà di quello che danno a mio fratello. Sono proprio le leggi a stabilirlo. In tribunale, la testimonianza di due donne insieme vale la testimonianza di un solo uomo. Un uomo può avere quattro mogli contemporaneamente e ci sono molte altre leggi discriminatorie contro le donne”.
Ci racconta altro del suo paese?
“Tutte queste leggi sono state approvate dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Abbiamo anche una fortissima discriminazione religiosa, in base al culto che si segue. Se un musulmano si converte al cristianesimo o a un’altra religione, viene punito in modo molto severo. Molte persone si trovano in carcere attualmente per questo motivo. Secondo le statistiche nostre, si tratta di circa 80 persone”.
E riguardo l’omosessualità?
“L’omosessualità viene punita con la pena di morte”.
Ci parli delle punizioni.
“Le punizioni sono molto severe. Si usano metodi come la flagellazione, il taglio della mano in caso di un ladro, la lapidazione, la crocifissione”.
Com’è la situazione riguardo la censura?
“La censura è molto severa. L’organizzazione di Reporter senza Frontiere ha dichiarato che in Iran c’è il numero più alto al mondo di giornalisti in carcere. Il governo filtra e chiude molti siti internazionali”.
Come si può sconfiggere Isis?
“Non certo con le bombe, che non servono a niente: invece delle bombe, sulle teste delle milizie di Isis dovete buttare dei libri, per istruirli. Solo allora le cose cambieranno davvero”.
Sogna di poter tornare nel suo paese e a che condizioni?
“Io tornerò nel mio paese solo quando potrò lavorare in Iran come attivista dei diritti umani”.
Ha avuto una vita difficile, è stata in carcere, ora vive lontano dal suo paese. Se potesse tornare indietro, rifarebbe le stese cose?
“È la strada che ho scelto, è stato difficile ma era la mia scelta. Se rinascerò un’altra volta, rifarò esattamente le stesse scelte”.