Turchia di nuovo al voto per elezioni generali. Erdogan: Serve stabilità

Ankara (Turchia), 1 nov. (LaPresse) – Si sono chiusi i seggi in Turchia, dove oggi si è votato per le elezioni generali. La giornata elettorale si è svolta senza incidenti, eccezion fatta per una rissa scoppiata in un seggio di Kocaeli, vicino Istanbul, fra sostenitori dell’Akp e dell’Hdp, in cui la polizia è intervenuta lanciando lacrimogeni. I primi risultati sono attesi alle 19 ora italiana. Votando nel suo quartiere di origine a Istanbul, quello di Calimca, il presidente Recep Tayyp Erdogan ha puntato sulla necessità di stabilità del Paese: ” È ovvio quanto importante sia la stabilità nelle elezioni di oggi e oggi i nostri cittadini faranno la loro scelta in base a questo”, ha detto ai giornalisti.

Il Paese è tornato al voto in un clima che non era così teso da decenni, con la guerra ancora in corso nella vicina Siria, il violento conflitto con i curdi del Pkk nel sudest del Paese, le discussioni in corso con l’Ue sulla gestione dei rifugiati e la minaccia terrorista concreta. Da giugno ci sono stati tre attentati di grandi dimensioni: quello del 5 giugno a un comizio dell’Hdp a Diyarbakir, l’attacco kamikaze del 20 luglio a Suruc vicino al confine con la Siria e quello dello scorso 10 ottobre alla marcia per la pace ad Ankara, quest’ultimo il peggiore attentato della storia della Turchia, con 102 morti. Si torna alle urne dopo che a seguito della tornata del 7 giugno scorso non è stato possibile raggiungere un accordo per la formazione di una coalizione di governo. Il tutto mentre l’opposizione accusa il governo di avere messo a tacere i media più critici: giovedì è stata bloccata la pubblicazione di due quotidiani anti-Erdogan, Bugün e Millet, per decisione di un tribunale dal momento che appartengono alla holding Koza Ipek, accusata di legami con il religioso Fethullah Gulen, oppositore del presidente Recep Tayyp Erdogan.

LE ELEZIONI DEL 7 GIUGNO E I SONDAGGI. Tutto fa pensare che oggi si ripeterà quanto accaduto quasi cinque mesi fa: a urne chiuse, probabilmente, i risultati porteranno un Parlamento molto simile a quello che si era delineato a giugno e che ha lasciato il Paese in un vicolo cieco. Le elezioni generali del 7 giugno avevano strappato la maggioranza assoluta al Partito giustizia e sviluppo (Akp), quello del presidente Recep Tayyp Erdogan, che otteneva la maggioranza a ogni tornata dal 2002. Ma quel voto aveva anche segnato l’ingresso in Parlamento del Partito democratico del popolo (Hdp), cioè la formazione della sinistra filocurda. L’impossibilità di arrivare ad accordi per una coalizione aveva portato la Turchia, per la prima volta nella storia, ad attivare il meccanismo costituzionale di formazione di un governo ad interim per gestire il Paese fino alla ripetizione delle elezioni, che si terranno appunto domenica. Finora i sondaggi indicano che il risultato delle prossime elezioni sarà molto simile all’ultimo, differenziandosi solo per alcuni seggi, perciò all’indomani del voto il Paese si troverà nuovamente davanti allo stesso dilemma. L’Akp, che a giugno ha ottenuto il 40,9% dei voti, sta facendo sforzi per recuperare almeno i 18 seggi che gli mancano per la maggioranza assoluta, ma dubita di riuscirci, e alcuni sondaggi prevedono addirittura un leggero calo. Il partito socialdemocratico Chp invece, il principale partito di opposizione, ha buone carte per salire di uno o due punti rispetto all’attuale 25%, nonostante questo non modificherebbe la sua posizione nell’emiciclo. Un avanzamento simile si prevede anche per il partito ultranazionalista Nhp, con il 16,3%, mentre alcuni sondaggi danno un leggero calo dell’Hdp, che a giugno aveva ottenuto il 13,1%. Non si prevede tuttavia che il calo dell’Hdp lo porti al di sotto della soglia del 10%, dunque non rischia di restare fuori dal Parlamento, il che invece cambierebbe i rapporti di forza tra i movimenti politici e consegnerebbe all’Akp una comoda maggioranza.

PKK, ISIS E IL PAESE SPACCATO. L’elettorato che va alle urne è profondamente diviso: da una parte coloro che ritengono che il nemico sia il “terrorismo curdo” sostenuto dalla sinistra; e dall’altra chi ritiene che sia il governo “che appoggia i terroristi islamici”. Alla base di questa spaccatura ci sono gli intricati recenti sviluppi in Turchia e Siria. Ankara si oppone al regime di Bashar Assad: per questo ha sempre dato un forte appoggio diplomatico all’opposizione armata islamista che combatte contro Assad; dall’altra parte però definisce “terroriste” le milizie curde in Siria che contro Assad combattono, coordinate dal Partito dell’unione democratica (Ypd), perché le accusa di essere il braccio siriano del Pkk. L’opposizione turca sostiene allora che Ankara preferisca come vicini i jihadisti piuttosto che i curdi laici, posizione che molti attribuiscono al partito Akp di Erdogan, al potere dal 2002.

L’ATTENTATO DI ANKARA E L’ISIS. Tutti e tre gli attentati di grande entità (Diyarbakir, Suruc e Ankara) hanno colpito la sinistra filocurda. A Diyarbakir morirono quattro persone a un meeting dell’Hdp; a Suruc un kamikaze si fece esplodere a un raduno della Federazione delle associazioni dei giovani socialisti (Sgdf) davanti a un centro culturale controllato dall’Hdp, dove si erano raccolti centinaia di giovani che intendevano partire per Kobane; infine ad Ankara due attentatori kamikaze si sono fatti saltare in aria in pieno giorno davanti alla stazione all’inizio di una marcia per la pace, alla quale partecipavano molti membri dell’Hdp. L’opposizione ha puntato il dito contro il governo come responsabile dei tre attentati, la cui responsabilità è stata attribuita a cellule legate all’Isis, accusandolo di avere prestato scarsa attenzione alle reti dello Stato islamico in Turchia nonostante le ripetute denunce dei familiari dei giovani che si radicalizzavano diventando jihadisti. Secondo alcuni esperti, è sorprendente che la polizia non abbia fatto alcun tentativo di smantellare le reti fondamentaliste anche dopo i primi due attentati, quando già si conoscevano i nomi dei coinvolti, i loro viaggi in Siria e i loro legami con lo Stato islamico. E i familiari di diversi sospettati hanno assicurato di avere denunciato i propri figli alla polizia dopo averne notato la radicalizzazione, aggiungendo però che le autorità non hanno prestato loro attenzione. Il Pkk, in segno di solidarietà con le vittime di Ankara, dopo quell’attentato ha annunciato che sospenderà ogni attacco, salvo attività di difesa, per non interferire con le elezioni.

LE DIFFICILI PROSPETTIVE DI COALIZIONE. Dopo le accuse l’Akp, sostenuto dal presidente Recep Tayyip Erdogan, ha scelto una linea dura, paragonando il Pkk ai jihadisti “perché tutti i terrorismi sono uguali” e ha sostenuto che le due organizzazioni collaborino fra loro. E nella sua posizione contraria ai movimenti curdi e all’Hdp, che esclude dal dialogo politico, l’Akp ha il fermo appoggio del partito ultranazionalista Mhp. Il Chp, dal canto suo, difende un dialogo fra tutte le forze politiche mostrandosi aperto all’Hdp e al settore della sinistra curda. Se i sondaggi saranno confermati, domani si tornerà a vivere una riedizione della difficile ricerca di coalizioni, ma questa volta l’Akp avrà maggiore pressione per arrivare a un patto post-elettorale, dal momento che l’opzione di ripetere di nuovo le elezioni non sembra possa migliorare la sua immagine né davanti all’elettorato, né sui mercati internazionali.