Renzi in Israele: equilibrio difficile dopo accordo Iran

di Fabio De Ponte

Roma, 20 lug. (LaPresse) – L’Italia è amica dello Stato di Israele. Sarà questo il messaggio che il premier Matteo Renzi porterà a Tel Aviv, dove è atteso domani per una visita diplomatica di due giorni e dove incontrerà il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu. Non è la prima volta che i due si vedono. Nel dicembre scorso Netanyahu era stato a Palazzo Chigi. Ora Renzi ricambia la visita.

Come la volta precedente, l’incontro arriva in un momento particolarmente turbolento sul piano delle relazioni tra Israele e il resto del mondo. A dicembre a tenere banco era una risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che chiedeva il suo ritiro dai Territori occupati per consentire la nascita di uno Stato palestinese entro la fine del 2017.

Risoluzione a favore della quale il Parlamento europeo aveva approvato a sua volta un documento. E persino quello italiano si era mosso (accogliendo però due risoluzioni opposte: una per il riconoscimento e l’altra invece contraria, che incoraggiava semplicemente il dialogo). Proprio a Roma Netanyahu incontrò il segretario di Stato Usa John Kerry, in un faccia a faccia teso, durato quasi tre ore. Alla fine gli Usa votarono no e la risoluzione non raggiunse i nove voti necessari all’approvazione (il che tolse Washington dall’imbarazzo di valutare l’esercizio del diritto di veto).

Questa volta al centro dell’attenzione c’è l’accordo siglato martedì scorso a Vienna sul nucleare. Una intesa fortemente voluta dagli Stati Uniti, rivendicata dal presidente Barack Obama come una “opportunità storica” per creare un “un mondo più sicuro per i nostri figli” e definita da Netanyahu, specularmente, un “errore storico”, perché “in tutti i campi in cui occorreva negare all’Iran la capacità di dotarsi di armi atomiche sono state fatte generose concessioni”.

Stavolta la posizione dell’Italia è più delicata. Non solo per il ruolo che nella partita ha giocato l’Alto rappresentante della politica estera Ue, Federica Mogherini, ex capo della diplomazia italiana, ma soprattutto per le parole pronunciate dallo stesso Renzi, che ai negoziatori ha fatto le sue “più vive congratulazioni”, affermando che “l’accordo semina una nuova speranza per un processo di pacificazione regionale”.

Non solo, ma il problema con Tel Aviv riguarda anche le relazioni commerciali Italia-Iran. La preoccupazione principale del capo del governo israeliano, infatti, è che, col venir meno delle sanzioni sugli scambi, “l’Iran disporrà di centinaia di miliardi di dollari con i quali potrà rilanciare i meccanismi del terrorismo, il suo espansionismo e la sua aggressività in Medio Oriente e in tutto il mondo”.

E l’Italia sta scaldando i motori per recuperare 3 miliardi di euro all’anno di interscambio commerciale con Teheran. A partire dal petrolio e soprattutto dal gas. L’Iran può offrire grandi riserve e potrebbe farle arrivare nel sud Europa attraverso l’Italia. In ballo c’è il giacimento del golfo Persico di Asalouyeh. Le risorse iraniane potrebbero affiancare quelle azere del Mar Caspio, per fare arrivare le quali si lavora al progetto Tap, il gasdotto transadriatico, che dalla frontiera greco-turca attraverserà Grecia e Albania per approdare in Italia, nella provincia di Lecce. Il Tap promette di offrire un ruolo di primo piano al nostro Paese nell’approvvigionamento energetico europeo; e il nuovo canale iraniano potrebbe rafforzare questo ruolo.

Per questo Renzi dovrà riuscire a stare sul filo di lana, rassicurando Netanyahu che l’Italia è pronta a fare un passo indietro con l’Iran se questa non darà sufficienti garanzie ma senza impegni che possano frenare questi promettenti sviluppi.

L’adozione del testo, approvato con risoluzione numero 2231, permetterà l’entrata in vigore entro 90 giorni del trattato negoziato la settimana scorsa a Vienna dall’Iran e dal gruppo 5+1. Il documento stabilisce l’annullamento di sette risoluzioni dell’Onu contro l’Iran non appena l’Agenzia internazionale per l’energia atomica avrà verificato che Teheran ha rispettato determinate misure previste dall’accordo. Fra le altre cose, l’Iran dovrà ridurre entro le prossime settimane le sue riserve di uranio arricchito, portandole da 12mila a soli 300 chili, e smantellare due terzi delle sue centrifughe per l’arricchimento. Il rispetto di tali misure determinerà la fine di gran parte delle sanzioni dell’Onu, ma non tutte, come ad esempio l’embargo sulle armi. Questo provvedimento di estenderà ancora per altri cinque anni, mentre quello che impedisce di procurarsi componenti per missili balistici resterà in vigore per otto anni.

Il Consiglio Onu ha inoltre adottato un meccanismo che prevede la ripresa delle sanzioni nel caso in cui l’Iran non rispettasse gli accordi. Nel caso in cui l’Onu accertasse un mancato rispetto dei patti, infatti, le sanzioni torneranno a entrare in vigore nel giro di 30 giorni, a meno che il Consiglio non voti una risoluzione che dica il contrario. Questo meccanismo impedisce a priori che un Paese membro permanente del Consiglio possa usare il diritto di veto per bloccare la ripresa delle sanzioni.