Dublino (Irlanda), 23 dic. (LaPresse/AP) – Una commissione speciale di tre giudici in Irlanda sta valutando il caso di una donna incinta collegata a delle macchine, della quale è stata dichiarata la morte cerebrale, per capire se sia il caso di continuare a tenerla in vita e dare al feto, di 17 settimane, una possibilità di sopravvivere. Cinque gruppi di avvocati che rappresentano la donna, il suo feto, i suoi genitori, il suo compagno e l’ospedale si stanno alternando all’Alta corte di Dublino nel presentare le loro ragioni nel caso, che ha riacceso le polemiche nel Paese sull’aborto. La decisione dei tre giudici potrebbe arrivare già oggi e contro il verdetto si potrà presentare ricorso in Corte suprema.
Al centro della questione c’è la condizione, stabilita dalla Costituzione, che la vita della donna e quella del suo feto dovrebbero per legge godere della stessa protezione. In passato negli ospedali irlandesi hanno già cercato di tenere in vita donne incinte collegate ai macchinari per la sopravvivenza, anche se cerebralmente morte, nella speranza di salvare il feto. Negli ultimi due casi, avvenuti nel 2001 e 2003, i feti morirono dopo una settimana o due. In questo caso i genitori e il compagno della donna hanno chiesto che l’ospedale stacchi le macchine. Gli avvocati dell’ospedale affermano che la donna è già clinicamente morta, ma non staccano la spina perché temono che venga intentata una causa perché i macchinari sono essenziali per la sopravvivenza immediata del feto.
La norma in Irlanda suggerisce che, se verrà ordinato di porre fine alle funzioni vitali della paziente, i medici cercheranno di tenere il feto in vita per altre 17 settimane per poi farlo nascere. I medici irlandesi hanno chiesto per decenni leggi più chiare sulle occasioni in cui possono porre fine a una gravidanza. Al momento le leggi consentono le interruzioni solo quando ritenute necessarie per salvare la vita della donna. Mediamente ogni anno 4mila donne irlandesi vanno in Inghilterra per abortire.