Messico, genitori studenti: Se non ci sono prove nostri figli sono vivi

Città del Messico (Messico), 8 nov. (LaPresse/AP) – Fino a quando non ci saranno prove della loro uccisione “i nostri figli sono vivi”. Così Felipe de la Cruz, genitore di uno dei 43 studenti messicani scomparsi a fine settembre a Iguala, che, secondo quanto rivelato da alcuni arrestati, sarebbero stati uccisi e bruciati vicino a una discarica nello Stato di Guerrero. “Oggi – aggiunge de la Cruz – stanno provando a chiudere il caso in questa maniera. Un modo palese per promuovere la tortura nei nostri confronti da parte del governo federale”. Ieri il procuratore generale del Messico, Jesus Murillo Karam, ha mostrato un video in cui si vedono centinaia di frammenti di ossa e denti carbonizzati recuperati dal fiume. Sarà molto difficile, ha spiegato però il procuratore, estrarre il Dna per confermare l’identità delle vittime dell’omicidio di massa e dell’incenerimento, che sarebbe durato 14 ore.

I presunti assassini avrebbero ammassato i corpi sopra un mucchio di pneumatici e legna, versandoci sopra del carburante, in riva al fiume San Juan a Cocula, vicino a Iguala. Finora, circa 74 persone, tra cui l’ex sindaco di Iguala e la moglie, sono state arrestate nell’ambito dell’indagine sull’attacco della polizia contro gli studenti che manifestavano il 26 settembre nella città. In quell’occasione gli agenti uccisero sei persone e portarono via i 43 studenti. Le autorità, ha riferito Murillo Karam, sono ancora in cerca di altri sospetti.