Dall’Iraq a Roma per fare satelliti, sogno dottorandi distrutto da Isil

Di Martino Villosio

Roma, 28 ott. (LaPresse) – ‘Erano gli ultimi giorni prima del 19 giugno, giorno del lancio, ci trovavamo tutti in laboratorio qui a Roma e stavamo correndo contro il tempo per ultimare il satellite quando ho assistito a una telefonata drammatica. Uno dei miei dottorandi è stato chiamato dalla moglie. Piangeva, gli ha raccontato delle aggressioni che ormai avvenivano nelle case, hanno discusso a lungo se lei dovesse o meno comprare un pistola. Proprio quello studente era stato scelto per venire con noi in Russia, in rappresentanza dei colleghi, per partecipare dopo un anno di lavoro all’invio del primo satellite iracheno nello spazio. Ovviamente ha scelto di rientrare subito nel suo Paese’. Capita che la brutalità della Storia bussi all’improvviso alla porta di un laboratorio alla periferia di Roma, mentre un gruppo di studenti sta rincorrendo un sogno con la mente proiettata nello spazio. Il professor Paolo Teofilatto, docente del corso di laurea ‘Ingegneria dello spazio’ all’università ‘La Sapienza’, ha assistito a qualcosa del genere solo pochi mesi fa.

Tra il 2012 e lo scorso giugno ha supervisionato la formazione di un gruppo di 15 giovani ingegneri provenienti dall’università di Baghdad, arrivati nella capitale italiana per specializzarsi. Li ha coinvolti in un progetto nuovo ed esaltante: la costruzione di TigriSat, un piccolo satellite da spedire in orbita per fotografare le tempeste di sabbia nel deserto dell’Iraq.

Poi, mentre lavorava con quei ragazzi nelle strutture universitarie presso l’aeroporto dell’Urbe (dove fu costruito anche il primo satellite italiano), ha visto la crisi del loro Paese richiamarli in un attimo alla realtà. La minaccia dell’Isis prendere consistenza fino ad irrompere all’attenzione del mondo. E a travolgere anche i loro destini.

‘Il satellite alla fine è stato lanciato con successo e ha già inviato delle ottime fotografie’, spiega oggi Teofilatto, ‘i dottorandi sono rientrati nel frattempo in Iraq. Da loro sto ricevendo mail drammatiche’. Si è conclusa così, almeno per il momento, una storia cominciata nel 2010.

‘All’epoca la Scuola di Ingegneria Aerospaziale presso ‘La Sapienza’ non era ancora stata chiusa’, spiega il professor Teofilatto. ‘L’allora capo della task force per l’Iraq del ministero degli Esteri, attuale ambasciatore in Macedonia Massimo Bellelli, scelse di promuovere un’iniziativa fuori dalle corde del normale sostegno economico a quel Paese: un progetto per svilupparvi lo studio dell’ingegneria aerospaziale’. Le risorse ci sono, messe a disposizione dal ministero, ma servono due anni perché l’università ‘La Sapienza’, coinvolta dalla Farnesina, sciolga remore e impedimenti burocratici e sia finalmente pronta a dare il via libera.

‘Nel 2012, insieme al professor Filippo Graziani (ex preside della Scuola di Ingegneria Aerospaziale che per primo ha iniziato a far costruire piccoli satelliti agli studenti, n.d.r.), siamo andati a Baghdad per scegliere quindici studenti laureati in ingegneria tra cinquanta selezionati da tre ministeri iracheni’, spiega ancora Teofilatto. Giunti a Roma, per il primo anno i dottorandi iracheni si formano nei locali dell’ex ‘Direzione superiore studi ed esperienze’ di Guidonia (centro di eccellenza a livello mondiale nella sperimentazione aeronautica prima della seconda guerra mondiale), poi si passa nei laboratori dell’Urbe, dove Teofilatto coordina gli ingegneri iracheni nel progetto di costruzione di un satellite da mandare in orbita a giugno 2014.

Nulla di improvvisato. All’inizio degli Anni Novanta il professor Graziani, allievo del professor Luigi Broglio (artefice del primo lancio in orbita di un satellite italiano – il San Marco – esattamente 50 anni fa), di ritorno da un periodo trascorso all’università di Stanford in California aveva importato tra mille difficoltà alla ‘Sapienza’ un modello inedito di insegnamento che ha resistito fino alla recente chiusura della Scuola di Ingegneria Aerospaziale. ‘Ogni due anni, con i miei dottorandi tra cui c’è stato anche il professor Teofilatto, abbiamo progettato, costruito e poi mandato in orbita un piccolo satellite – spiega Graziani – è un metodo che ho imparato negli Stati Uniti e che ritengo fondamentale. I miei allievi studiavano di più perché volevano capire come mai si verificava un certo problema, risalendo dalla pratica alla teoria imparavano più in fretta e con più passione’.

E’ così che, nonostante l’iniziale disinteresse delle istituzioni, della ‘Sapienza’ e della stessa Agenzia Aerospaziale Italiana, grazie all’attivismo e ai contatti personali sviluppati nel tempo da Graziani dal 2000 ad oggi sono partiti per lo spazio ben 8 microsatelliti. ‘I primi 6 li abbiamo costruiti all’interno della Scuola di ingegneria aerospaziale, lanciandoli dalla Russia’, racconta il professore emerito oggi in pensione, ‘poi quando è stata chiusa con due miei ex allievi abbiamo fondato Gauss, una società privata separata dall’università che continua l’attività precedente’.

E’ stato Unisat 6, veicolo progettato e costruito da Gauss, a partire il 19 giugno su un razzo Dnepr dalla base russa di Dombarosky: un satellite capace di trasportare a sua volta, al proprio interno, altri 4 microsatelliti tra cui il Tigrisat.

Una grande soddisfazione per i giovani ingegneri iracheni, che avevano addosso una grande pressione mediatica. ‘Il ministro della Scienza e della Tecnologia li chiamava anche due volte al giorno, in patria i media li descrivevano come ‘i 15 scienziati iracheni’ e loro erano preoccupatissimi’, racconta il professor Teofilatto. ‘Io li rassicuravo dicendo che erano qui a Roma come studenti, e credo abbiamo davvero imparato molto anche sul metodo di lavoro e su come si affrontano i problemi e gli imprevisti. Negli ultimi tempi abbiamo dovuto trascorrere le notti in laboratorio per recuperare sulla tabella di marcia, spesso si scoraggiavano ma alla fine ce l’hanno fatta. Da loro ho ricevuto delle mail commoventi’.

Una crescita che, nelle intenzioni iniziali del progetto, avrebbero dovuto mettere al servizio del nuovo Iraq. ‘L’idea era quella di formarli per farne i futuri docenti di una scuola di ingegneria aerospaziale da creare a Baghdad e nella quale anche noi professori italiani avremmo dovuto insegnare’. Invece, proprio mentre TigriSat spiccava il volo rendendo orgogliose le autorità e i media locali, la situazione interna diventava sempre più difficile. ‘Fino a un mese fa era impossibile contattarli via internet – dice Teofilatto – ora riesco a sentirli ogni tanto via Skype. Spesso non possono recarsi alla stazione di terra di Baghdad, uno dei due centri di monitoraggio di Tigrisat oltre a quello dell’Urbe a Roma, a causa del coprifuoco’. Tra i 15 arrivati in Italia c’era anche una ragazza cristiana. ‘La sua famiglia si è arrabbiata con lei perché voleva che restasse in Italia. So che adesso stanno cercando di lasciare Baghdad’, spiega il professore che conclude: ‘Saremmo pronti ad accoglierli come dottorandi qui in Italia per altri tre anni, anche se non sarà facile’.

Il satellite, nel frattempo, continua dallo spazio a inviare le sue fotografie dal deserto. La stazione di terra di Baghdad, per il momento, è ancora attiva e riceve i suoi segnali. In attesa di capire se la romantica avventura del TigriSat e dei suoi giovani artefici possa trovare un qualche lieto fine, resta ancora da registrare – sullo sfondo – il grande disincanto dei loro professori italiani. Il piccolo exploit d’immagine regalato dalla favola del TigriSat, e dagli altri satelliti costruiti finora da studenti italiani, non deve ingannare sullo stato di salute dell’università italiana.

Il professor Graziani per esempio, dopo aver formato più di 100 dottorandi coinvolgendoli nella costruzione di microsatelliti, ancora oggi non si capacità del perché, all’improvviso, la sua scuola sia stata cancellata. ‘Facevamo un sacco di cose, raccoglievamo finanziamenti internazionali e in più eravamo un esempio unico in Italia, che stavo cercando di esportare anche a Milano e al politecnico di Torino’, ricorda. ‘Ma forse il mio errore è stato proprio quello: in Italia chi fa troppo, rischia di dare fastidio molto più di chi resta immobile’.

Per non lasciare che il patrimonio di esperienze acquisito si disperdesse, Graziani ha deciso di mettersi a costruire satelliti in proprio. ‘Siamo tre soci, abbiamo un piccolo laboratorio in piazza Vescovio a Roma e autofinanziandoci continuiamo a progettare satelliti. Unisat 7 partirà nel gennaio 2016 e Unisat 8 nel 2017. I finanziamenti li troviamo in giro per il mondo, Unisat 6 per esempio ha trasportato tra gli altri anche un satellite dell’Uruguay che ha scelto di rivolgersi a noi’. Eppure è difficile non pensare con rammarico a quanto terreno abbia perso il nostro paese anche nel terreno dell’ingegneria aerospaziale. ‘Io ho visto nascere e ho partecipato al progetto San Marco, siamo stati il terzo Paese al mondo a avere un proprio satellite nello spazio. Poi anche in quel caso, all’improvviso e senza un motivo apparente, tutto si è fermato’.

Un rammarico condiviso dal professor Paolo Teofilatto. ‘In Gran Bretagna un docente dell’università del Sussex, che ha avuto la stessa intuizione del professor Graziani, è stato fatto baronetto e oggi guida forse la più importante industria al mondo nella produzione di microsatelliti’. A Roma intanto, dopo che il Tar e il consiglio di Stato hanno accolto il ricorso contro la soppressione della Scuola di Ingegneria Aerospaziale della ‘Sapienza’, si attende ancora di sapere se e quando i vertici dell’ateneo decideranno di ottemperare a quanto stabilito dalla giustizia amministrativa.