Di Chiara Battaglia

Tunisi (Tunisia), 14 ott. (LaPresse) – La Tunisia post gelsomino si prepara alle elezioni. Nei prossimi mesi si andrà alle urne almeno due volte: il 26 ottobre per il rinnovo del Parlamento, il 23 novembre per le presidenziali e il 28 dicembre in caso di secondo turno delle presidenziali. A quasi quattro anni dalla ‘thaura’, questo il nome della rivoluzione, per i tunisini sono le elezioni del rilancio: dalle urne si capirà che direzione intenda prendere il Paese. “Subito dopo la rivoluzione abbiamo provato sollievo, abbiamo vissuto sulle nuvole fino a ottobre 2011, ma poi con Ennahda, gli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohammed Brahmi e la crisi politica il sogno è finito ed è cominciato un incubo”, spiega Faiza, che si occupa di formazione per conto del ministero dell’Istruzione. “Era meglio prima? Dal punto di vista della democrazia no, ma dal punto di vista economico sì. La vita è diventata più cara: costano di più i mezzi di trasporto e le verdure; per esempio è salito il prezzo di pomodori e peperoni, che sono alimenti di base della nostra cucina, e i salari non hanno seguito questi aumenti”. Qual è il volto del Paese che va a votare? Dipende da chi scatta la fotografia. A guardare da lontano la Tunisia è il caso meglio riuscito di Primavera araba, l’esempio quasi da laboratorio in cui nonostante le difficoltà della transizione si è riusciti a mantenere una democrazia. Per chi guarda dall’interno, invece, salta in primo piano la delusione. L’opinione più diffusa, dall’ambulante al professore al tassista, è la seguente: “A cosa ci è servito fare la rivoluzione se mancano lavoro e sicurezza?”. Una volta svanito il profumo della rivoluzione molte restano le questioni da affrontare: rilancio economico dopo il crollo vertiginoso del turismo, lavoro con la disoccupazione al 15,2%, sicurezza nelle città, minaccia terrorismo con le tensioni ai confini con Algeria e Libia e, non ultima, l’applicazione di quelle norme democratiche che adesso, almeno sulla carta, vengono sancite dalla Costituzione. Per esempio la nuova Costituzione afferma l’uguaglianza di uomini e donne, ma la realtà è molto più complessa.

LE ELEZIONI E LO SPETTRO ASTENSIONE. Lo spettro numero uno di questa tornata elettorale è l’astensione. Si tratta delle seconde elezioni libere dopo la ‘thaura’: nelle prime, che si tennero il 23 ottobre 2011 a pochi mesi dalla fuga di Ben Ali, nonostante i primi dati a urne aperte parlassero di un’affluenza addirittura al 90%, il dato definitivo dell’affluenza fu del 51% circa. Adesso si teme che la delusione e lo scontento portino a un’astensione record. Nella calda estate tunisina, quindi, i cittadini sono stati tempestati di inviti a iscriversi alle circoscrizioni elettorali: diversamente dal sistema italiano, infatti, chi vuole votare deve registrare il suo nome per tempo. A ricordarlo agli elettori striscioni di stoffa per le strade, manifesti e sms mandati a tutti i numeri di cellulare. Il periodo di iscrizione era stato inizialmente fissato dal 22 giugno al 22 luglio ma, proprio per evitare lo spettro astensione, la scadenza è stata posticipata ben due volte: prima di una settimana fino al 29 luglio e poi di altri 22 giorni fino al 26 agosto. Risultato: i cittadini iscritti al voto sono oltre 5,2 milioni, di cui 300mila residenti all’estero, su un corpo elettorale stimato fra 7 e 8 milioni di tunisini (la popolazione totale è invece di 10,7 milioni di persone). Secondo l’Isie (Instance supérieure indépendante pour les élections), cioè l’organismo indipendente incaricato di organizzare le elezioni, si tratta di un buon risultato considerato che il periodo di iscrizione è coinciso con il mese di Ramadan e con le vacanze estive.

IL CROLLO DEL TURISMO E LA DISOCCUPAZIONE. Lavoro e sicurezza sono le due parole chiave per leggere il volto della Tunisia che si appresta ad andare al voto. Dopo la caduta Ben Ali nel Paese è crollato il turismo, settore chiave dell’economia. A Cartagine, tra i luoghi storici più rinomati del Paese, museo e siti archeologici chiudono alle 17: “Dopo la rivoluzione ci sono meno turisti e tenere il personale fino a sera costa troppo”, spiega una guida. E ancora a Tozeur, alle porte del deserto, un albergo con 128 camere a luglio ne aveva piene solo una quarantina: per adeguarsi al calo degli arrivi il personale è stato tagliato. Dal 2010 al 2011 è stato registrato un calo del 30,7% degli arrivi. Successivamente si è tentato di risollevare la situazione, ma nonostante i consistenti miglioramenti gli ultimi dati mostrano che dal 1° gennaio al 31 luglio 2014 i turisti stranieri arrivati in Tunisia sono stati il 16,7% in meno rispetto allo stesso periodo del 2010. La disoccupazione, che è uno dei fattori che ha contribuito al malcontento per il regime sotto Ben Ali, dopo la rivoluzione è schizzata in alto visti il crollo del turismo e l’instabilità politica. Nel 2010 i senza lavoro erano il 13%; nel 2011, cioè l’anno della cacciata di Ben Ali, la disoccupazione è schizzata al 18,3% per poi scendere lentamente nel 2012 al 17,6% e nel 2013 al 15,7%. Ma a tuttoggi il tasso resta ancora più alto del periodo pre-rivoluzione: l’ultimo dato, quello del primo trimestre 2014, vede i senza lavoro al 15,2%.

LA FERITA APERTA DEGLI OMICIDI DI BELAID E BRAHMI. Una ferita aperta resta quella provocata dagli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohammed Brahmi, che hanno causato le proteste più grandi dalla fine della rivoluzione. “Mi ricordo che la mattina di mercoledì 6 mia madre era da me, preparavamo la colazione, mia sorella mi ha chiamata in lacrime e mi ha detto: ‘Hai sentito di Chokri Belaid, ci sono stati degli spari’. Io non li avevo sentiti, ma è stato proprio qui dietro'”, ricorda Faiza in un bar di Menzah 6, il quartiere in cui è avvenuto l’assassinio. Entrambi politici di opposizione e membri del Fronte popolare, Belaid e Brahmi sono stati assassinati in pieno giorno a Tunisi a distanza di pochi mesi: il primo il 6 febbraio 2013, il secondo il 25 luglio 2013, nel giorno della Festa della Repubblica, evidenziando una enorme falla nella sicurezza. A febbraio di quest’anno il governo ha annunciato di avere ucciso l’assassino di Belaid in un’operazione antiterrorismo, ma ancora nessuna luce sui mandanti. Molti accusano il governo di essere stato il vero mandante politico, infastidito dal fatto che i due politici denunciavano la presunta volontà di Ennahda di islamizzare il Paese.

SICUREZZA, TERRORISMO E I CONFINI CALDI CON ALGERIA E LIBIA. Il problema sicurezza riguarda sia la sicurezza dei cittadini rispetto alla piccola criminalità, sia la questione più complessa del terrorismo. La percezione diffusa, a maggior ragione dopo i due omicidi politici, è che le città siano meno sicure: il controllo capillare che c’era sotto il regime di Ben Ali è venuto meno, la situazione economica è peggiorata e la piccola criminalità sembra essere aumentata. Il problema terrorismo in Tunisia è evidente soprattutto ai confini con l’Algeria e con la Libia. Lungo la frontiera con l’Algeria, in particolare sul monte Chaambi, gli scontri fra esercito e gruppi pro al-Qaeda vanno avanti dal 2012 e negli ultimi mesi gli attacchi si sono intensificati: il 16 luglio sera, all’orario della rottura del digiuno del Ramadan, un gruppo di estremisti islamici ha ucciso 15 militari tunisini e ne ha feriti altri 20; poi la sera del 2 agosto un assalto dei terroristi alla caserma di Sbeitla, con la morte di un soldato. Quanto alla Libia, vista l’instabilità politica e per evitare di agevolare i movimenti di estremisti, la Tunisia ha deciso ad agosto di sospendere i voli in arrivo.

RISCHIO ATTENTATI IN CITTA’ DURANTE LE ELEZIONI. La questione non riguarda però soltanto le zone di confine: qualche settimana fa il premier Jooma e il ministro dell’Interno hanno avvertito di un rischio concreto di attentati nel periodo elettorale che riguarderebbe le città. E il campanello d’allarme nelle città è suonato a dire il vero già il 30 ottobre 2013, quando nello stesso giorno quasi contemporaneamente a Sousse un attentatore suicida si è fatto saltare in aria sulla spiaggia senza provocare vittime, e a Monastir è stato fermato un 18enne con uno zainetto pieno di esplosivo mentre era in coda al mausoleo di Habib Bourguiba. Allora il ministero dell’Interno fece sapere che si trattava di salafiti dediti alla jihad.

IL GIRO DI VITE CONTRO IL TERRORISMO E LA PRATICA DELLA TORTURA. La lotta al terrorismo, per una democrazia giovane come la Tunisia, pone il problema di trovare un compromesso equilibrato fra il tentativo di arginare un fenomeno pericoloso e il rispetto dei principi democratici. E questo è un nodo che andrà senz’altro sciolto dalla futura amministrazione del Paese. Fra luglio e agosto 157 associazioni sono state sospese per presunti legami con il terrorismo, in base a una legge che risale al 1975. Anche una ventina di moschee sono state chiuse con l’accusa di predicare l’estremismo. E alcuni canali d’informazione, tra cui due radio, sono stati accusati di promuovere la violenza e quindi bloccati. I gruppi per la difesa dei diritti umani hanno reagito esprimendo preoccupazione. Fra questi Human Rights Watch (Hrw), che ha definito le sospensioni “sproporzionate e arbitrarie”, avvertendo che ci sono “buone ragioni per combattere il terrorismo, ma non vanno calpestati I diritti protetti dalla Costituzione e dalla legge e non bisogna bypassare la magistratura”. Inoltre la polizia non ha abbandonato la pratica della violenza per mantenere l’ordine e la tortura come modalità di indagine per estorcere confessioni o informazioni. Problema questo che continua a essere denunciato da attivisti, blogger e organizzazioni contro la tortura ma non sembra rientrare nei programmi politici in vista delle elezioni.

LE DONNE, IL VELO E LA PARITA’ LONTANA. La nuova Costituzione tunisina, approvata dall’Assemblea costituente il 26 gennaio di quest’anno e che sostituisce quella del 1959, è nel mondo arabo quella che garantisce più diritti alle donne. Per la prima volta nel mondo arabo viene introdotto nella Carta l’obiettivo di raggiungere la parità di genere negli organi elettivi. Di particolare rilievo l’articolo 46, che recita come segue: “Lo Stato si impegna a proteggere i diritti della donna, li sostiene e mira a migliorarli. Lo stato garantisce l’uguaglianza delle possibilità tra donna e uomo nell’assumersi le diverse responsabilità e in tutti gli ambiti. Lo Stato mira a realizzare la parità tra donna e uomo nei Consigli eletti. Lo Stato adotta le misure necessarie al fine di sradicare la violenza contro le donne”. Si tratta di un passo avanti ma tra la teoria e la pratica c’è una grande distanza. A proposito della parità di genere negli organi elettivi, per esempio, il Parlamento ha bocciato la cosiddetta ‘parità orizzontale’, che avrebbe imposto ai partiti di presentare il 50% dei capilista donne, accrescendo la possibilità di una loro elezione a deputate. Secondo il rapporto ‘Il profilo di genere della Tunisia’, pubblicato ad agosto dall’Unione europea in collaborazione con le autorità tunisine, “le evoluzioni dei diritti della donna non si sono tradotti in un’integrazione più significativa nelle attività economiche e politiche”. Il documento testimonia con dati e statistiche che il lavoro domestico rimane ancora a carico delle donne, ostacolando il loro accesso al lavoro, e aggiunge che per il 55% delle donne la violenza è ‘un fatto ordinario e non merita che se ne discuta’. È inoltre opinione diffusa che dopo la rivoluzione siano a poco a poco aumentate le donne che indossano il velo, non per scelta religiosa libera visto che sotto Ben Ali era vietato indossarlo in pubblico, ma perché si pensa così di essere più tutelati da aggressioni verbali e non.

L’EREDITA’ DELLA RIVOLUZIONE E LA LEGGE SULLA DROGA. Fra le questioni aperte ancora da affrontare resta poi quella delle carceri che, secondo un rapporto del 2013 dell’agenzia Onu per i diritti umani, sono sovraffollate e in alcuni casi piene al 150% della propria capacità. A questo si lega la revisione chiesta più volte della legge 52 sulla droga, che ha contribuito a riempire le carceri del Paese: il testo infatti non fa distinzione fra droghe pesanti e leggere e prevede per il consumo di stupefacenti sentenze obbligatorie comprese fra uno e cinque anni di prigione e multe fra 500 e 1.600 euro. Con l’arresto del blogger Aziz Amami, avvenuto il 13 maggio scorso proprio per consumo di cannabis, la legge 52 è diventata oggetto di dibattito nazionale e ha sollevato anche un altro problema: secondo gli attivisti si tratta di uno strumento utilizzato dalla polizia contro i suoi oppositori. Per i sostenitori di Amami, ad esempio, l’arresto del blogger non era dovuto alla droga, ma era una risposta della polizia alle iniziative dell’attivista contro le violenze da parte delle forze dell’ordine.

LA TUNISIA E L’ITALIA. La Tunisia è per l’Italia un partner strategico, sia dal punto di vista economico sia da quello del controllo dell’immigrazione. Non a caso la prima visita ufficiale del premier Matteo Renzi, già programmata da tempo durante il governo di Enrico Letta e avvenuta lo scorso 4 marzo, è stata proprio a Tunisi. Renzi è stato accolto dal primo ministro tunisino Mehdi Jomaa e ha avuto incontri istituzionali con il presidente Moncef Marzouki e con il presidente dell’Assemblea nazionale costituente, Ben Jafaar. Allora ha incontrato anche una delegazione di donne della società civile tunisina, tra cui la blogger Lina Ben Mhenni, e rappresentanti delle imprese: sia imprenditori italiani attivi in Tunisia, sia il presidente della Confindustria tunisina, Whaida Boucha Maoui. Il che si spiega con due priorità: in primo luogo l’affermazione più volte ribadita dal governo di volere puntare sulla centralità del Mediterraneo, anche nel corso della presidenza italiana dell’Ue; e in secondo luogo l’importanza reciproca dei due Paesi come partner commerciali. Stando ai dati riportati dall’ambasciata italiana a Tunisi, le imprese italiane attive in Tunisia sono 747 su un totale di 3.006 censite, e impiegano 60mila persone.

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