Music for Peace a Gaza: 7 container e 100 tonnellate di aiuti, con la solidarietà di tutta Italia

Di Ilaria Leccardi

Roma, 27 set. (LaPresse) – “Guardare negli occhi un ragazzino che non sa più sognare. Camminare per le strade che da tempo conoscevi e non riconoscerle più. Attorno solo macerie, devastazione. Ecco cosa vuol dire essere a Gaza oggi”. Lo spiega così Stefano Rebora, capo della missione targata Music for Peace – Creativi della Notte, la onlus genovese in questi giorni nella Striscia per consegnare un grande carico di aiuti umanitari alla popolazione e agli ospedali locali. “Siamo l’unica realtà italiana che è riuscita a entrare e distribuire materiali sul posto dopo l’operazione israeliana Margine protettivo”, spiega Rebora, accompagnato nell’occasione da Stefano Lanza e Claudia D’Intino. Il prezioso carico trasportato era composto da sette container, due ambulanze, 100 tonnellate di aiuti e medicinali. Il tutto raccolto attraverso donazioni private arrivate da tutta Italia, a partire da gennaio scorso. “Preferiamo non chiedere denaro ai privati, ma materiali. La riteniamo una forma di partecipazione più forte e attiva. Alle istituzioni chiediamo talvolta finanziamenti, ma meglio ancora se ci aiutano fornendoci servizi: dal trasporto al carico delle merci”, continua Rebora, fondatore della onlus da anni impegnata in missioni all’estero ma anche attiva sul territorio genovese, dove offre aiuto costante a 200 famiglie bisognose.

L’IMPEGNO IN PALESTINA. La carovana di Music for Peace inizia nel 2009, anno a partire dal quale trasporta più di 40 container, circa 600 tonnellate di materiale, 11 ambulanze e un’auto medica, nel corso di sei missioni. “Il primo viaggio – racconta Rebora – fu con Vittorio Arrigoni con cui, dopo la distribuzione del materiale programmammo il secondo. Ma un mese prima della partenza successe la tragedia. Da allora lo staff della missione si considera sempre ‘più uno’, ossia proprio ‘più Vittorio'”. Arrigoni, giornalista e attivista che da tempo viveva nella Striscia, fu rapito e ucciso da una cellula salafita nell’aprile 2011.

IL VIAGGIO E LA DISTRIBUZIONE. La missione condotta quest’anno a Gaza ha però qualcosa di particolare. Se non fosse altro perché avvenuta a ridosso dell’offensiva israeliana Margine protettivo. In realtà sarebbe dovuta partire prima, ma il 24 giugno è arrivato lo stop dalle autorità egiziane per una questione di visti. L’attesa è durata 50 giorni, nel frattempo l’offensiva si consumava, con i suoi oltre duemila morti. “Quando finalmente ci è arrivato il visto per partire – continua Rebora – abbiamo spedito i materiali via mare, verso Port Said. Ma in Egitto siamo stati fermi altri 18 giorni prima di riuscire a entrare nella Striscia. La parte più difficile è stata l’attraversamento degli ultimi 40 chilometri del Sinai, tra El Arish e Rafah, una zona militarizzata dove ogni giorno si verificano scontri a fuoco tra milizie e truppe egiziane”. I tre italiani sono stati costretti a fare avanti e indietro con le merci al seguito per due volte, e poi scaricare e caricare il materiale per passare da camion di compagnie egiziane e camion di compagnie palestinesi. Il 16 settembre, finalmente, l’arrivo a destinazione. “Appena entrati nella Striscia abbiamo tenuto un incontro di coordinamento con dieci associazioni di riferimento locali, a cui abbiamo consegnato molto materiale.

Poi siamo entrati in contatto con gli ospedali, tra cui l’Al Awda Hospital, il Rantesi Hospital e il Jenin Hospital, a cui era destinata una parte del carico, comprese le due ambulanze. Infine, abbiamo distribuito porta a porta, famiglia per famiglia, tremila pacchi da venti chilogrammi di aiuti”. Oggi l’ultima consegna: due incubatrici a un ospedale pediatrico.

DOPO LA GUERRA. “La situazione nella Striscia è terribile, c’è devastazione ovunque, soprattutto a Khan Younis e Shejaya. La gente vive letteralmente nelle macerie, alcuni appartamenti affacciano direttamente nel vuoto. Il problema vero è adesso, è la ricostruzione, il futuro di questa gente. Perché, nonostante l’accordo che ha messo fine agli attacchi, la Striscia continua a rimanere una prigione a cielo aperto”. Attualmente, spiega ancora Rebora, 32 centri Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione) sono utilizzati come dormitori, dove le famiglie vivono una situazione paradossale, con gli uomini separati dalle donne e dai bambini. “Oltre alla morte e alla paura, questa gente deve subire anche la separazione delle famiglie e chissà per quanto… I ragazzi non hanno più sogni, sperano solo di andarsene e alcuni lo fanno, imbarcandosi in viaggi pericolosi e molto costosi attraverso il Mediterraneo “.

LA CAROVANA NON SI FERMA. L’attività di raccolta di materiali destinati a Gaza da parte di Music for Peace in questi mesi non si è mai fermata, subendo un’impennata in seguito all’offensiva israeliana. Tanto che per il prossimo inverno l’associazione ha in programma una nuova spedizione. “La difficoltà – conclude Rebora – è riuscire a reperire i fondi per missioni come queste, perché solo il viaggio ci è costato circa 20mila dollari. Ma il nostro impegno qua non è ancora terminato. Nei prossimi giorni torneremo in Italia, ma prima avremo nuovi incontri al Cairo con le autorità egiziane e con l’Ambasciata italiana, il cui sostegno è stato fondamentale per la buona riuscita del viaggio. Vorremmo lavorare per portare una famiglia gazawi in Italia, per offrire una testimonianza diretta della vita nella Striscia”.