Londra (Regno Unito), 2 lug. (LaPresse) – Spagna e Regno Unito si preparano ai referendum in cui fra qualche mese i promotori vorrebbero decidere dell’indipendenza di Catalogna e Scozia. I primi a votare saranno gli scozzesi, il 18 settembre. Poi il 9 novembre dovrebbe essere la volta dei catalani, ma il voto della regione di Barcellona è oggetto di un braccio di ferro: da una parte il governo di Madrid lo definisce illegittimo, dall’altra il governo regionale catalano è determinato a svolgere la consultazione. E il nuovo re Felipe VI, salito al trono dopo l’abdicazione del padre Juan Carlos, dovrà senz’altro affrontare la questione. Ma non solo. Oltre a Spagna e Regno Unito, in tutta Europa i movimenti indipendentisti sono tornati al centro dell’attenzione: talvolta per casi eclatanti, come il referendum per la separazione del Veneto dall’Italia; altre volte per il risultato alle urne, come nelle elezioni nazionali in Belgio del 25 maggio, in concomitanza con le europee, in cui è stata registrata l’avanzata del partito degli indipendentisti fiamminghi; o ancora per il caso dell’Ucraina, che non è Stato membro dell’Ue ma la cui storia degli ultimi mesi è legata all’Unione europea, dove la Crimea si è separata da Kiev con un referendum e la regione di Donetsk si è autoproclamata autonoma. Ecco qui di seguito una mappa dei principali movimenti indipendentisti in Europa.
REGNO UNITO E REFERENDUM SCOZIA. Diversi partiti scozzesi chiedono l’indipendenza della regione dal Regno Unito. Seppure divisi sulle modalità di attuazione, grazie all’intervento del primo ministro della Scozia Alex Salmond hanno ottenuto, con un accordo con il premier britannico David Cameron, che la popolazione si esprima sulla questione in un referendum costituzionale. La data prevista per il voto è il 18 settembre 2014 e il quesito posto agli elettori (di età superiore ai 16 anni) sarà: ‘Dovrebbe essere la Scozia uno Stato indipendente?’. Principale promotore è stato lo Scottish national party di Salmond, che da anni tenta di ottenere sostegno da altri partiti per raggiungere l’obiettivo di tenere un referendum. Quando nel 2011 dopo le elezioni ha ottenuto la maggioranza assoluta in Parlamento, ha spinto la richiesta fino a quando nell’ottobre 2012 è arrivata la firma di Cameron. I principali partiti del Regno Unito, Conservatore, Laburista e Liberaldemocratico, si oppongono al distacco della Scozia. Se gli scozzesi decidessero per l’indipendenza, il nuovo Stato resterebbe comunque nel Commonwealth: il capo di Stato proverrebbe dunque in ogni caso da Buckingham Palace, come sancito dall’Atto d’unione del 1707. Secondo molte rilevazioni il sì non passerà. I sondaggi hanno mostrato che non tutta la popolazione scozzese è disposta a lasciare Londra (anche perché Edimburgo dovrebbe affrontare una difficile situazione economica, con un pesante debito). Diverse questioni economiche hanno un ruolo nella contesa: tra queste il denaro versato annualmente da Londra alla Scozia e i giacimenti di petrolio nel Mare del Nord. Anche alcuni nomi celebri si sono espressi sull’argomento. La scrittrice J.K. Rowling, ‘mamma’ di Harry Potter e della sua saga, si oppone con fermezza e ha donato un milione di sterline alla campagna che vuole tenere unito il Paese. L’ex volto di James Bond, Sean Connery, è invece di parere opposto ed è un deciso sostenitore dell’indipendenza.
SPAGNA. In Spagna sono due i principali movimenti indipendentisti attivi: quello della Catalogna, che è la regione di Barcellona e si trova nel nordest del Paese, e quello dei Paesi Baschi, la regione di Bilbao che si trova nel nord della Spagna vicino al confine con la Francia. In entrambe le regioni si parlano lingue diverse dall’idioma ufficiale nazionale, che è lo spagnolo castigliano, e ci sono tradizioni culturali distinte. Nel primo caso si parla il catalano; nel secondo invece la lingua basca, o Euskera, della quale non è mai stata accertata l’origine.
PAESI BASCHI ED ETA. Diversamente dalla battaglia per l’indipendenza catalana, che è sempre stata pacifica, quella per l’indipendenza basca è stata anche violenta per via dell’impegno del gruppo armato Eta (l’acronimo sta per ‘Euskeda ta askatasuna’, cioè ‘Paese basco e libertà’), che è considerata un’organizzazione terroristica da Spagna, Ue e Usa. Al gruppo viene attribuita l’uccisione di oltre 825 persone in una campagna di attacchi con bombe e sparatorie mirate a ottenere l’indipendenza dei Paesi Baschi, ma nel 2011 l’Eta ha annunciato prima un cessate il fuoco e poi la rinuncia alla lotta armata.
LA CATALOGNA E IL REFERENDUM DEL 9 NOVEMBRE. Il principale promotore del referendum del 9 novembre per la secessione della Catalogna dalla Spagna e la creazione di un nuovo Stato europeo è il presidente della regione, Artur Mas, politico di carriera trentennale che in questa consultazione si gioca il suo futuro. Stando ai sondaggi, un’ampia maggioranza dei 7,5 milioni di residenti della Catalogna vuole che il voto si tenga come espressione di autodeterminazione, ma solo la metà di loro è favorevole a tagliare i legami con il governo di Madrid. In una recente intervista ad Associated Press, Mas ha spiegato che un eventuale successo del referendum per l’indipendenza in Scozia il 18 settembre a suo parere darebbe una forte spinta al voto catalano e, a sua volta, una vittoria del sì all’indipendenza della Catalogna non solo alimenterebbe la battaglia nei Paesi Baschi, ma incoraggerebbe anche altre regioni separatiste in giro per l’Europa, come i fiamminghi in Belgio. Se il voto invece fallisse, per esempio nel caso in cui venisse bloccato dalle decisioni dei tribunali, Mas potrebbe essere costretto a indire elezioni regionali anticipate.
La formazione di un’identità catalana ha radici storiche profonde. Basti pensare per esempio che, nella regione oggi bilingue, studiare il catalano era vietato sotto la dittatura del generale Francisco Franco, cioè dal 1939 al 1975. Più recentemente, però, il percorso che ha portato a fissare una data di referendum è cominciato a giugno del 2010, alcuni mesi prima che Mas diventasse governatore della Catalogna. Il fatto che segnò la svolta fu la decisione della Corte costituzionale di bocciare alcuni punti chiave di una legge che avrebbe garantito alla regione maggiore autonomia e l’avrebbe riconosciuta di fatto come una nazione all’interno della Spagna. Secondo Mas, quella mossa legale, che giungeva dopo decenni di battaglia politica, rese i catalani ancora più determinati a prendere le distanze dal governo centrale di Madrid. Nei quattro anni successivi il movimento ha continuato a crescere: nel 2012, per esempio, oltre un milione di catalani che chiedevano un voto sull’indipendenza scesero per le strade di Barcellona, dando vita alla più grande manifestazione nazionalista dagli anni ’70. Il referendum della Catalogna è però oggetto di un braccio di ferro con Madrid: ad aprile il Parlamento spagnolo ha respinto a larga maggioranza la petizione che lo chiedeva e il governo ha fatto sapere che il voto sull’indipendenza è impossibile in virtù della Costituzione. Ma il governo regionale intende andare avanti, e in quel caso il governo potrebbe portare la vicenda in tribunale per ottenere lo stop. Tuttavia, parlando con AP, Artur Mas ha lanciato un messaggio al primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, dicendo che il voto aiuterebbe ad allentare le tensioni politiche, e ha espresso la speranza che il nuovo monarca Felipe VI possa mediare il conflitto. ‘Un nuovo capo di Stato, un nuovo re di Spagna, è sempre un nuovo scenario’ e ‘spero che avrò l’opportunità di provare a convincerlo’, ha detto Mas.
BELGIO. Il Belgio è uno Stato federale composto da tre regioni: le Fiandre dove si parla olandese (60% della popolazione), la Vallonia prevalentemente francofona (40%) e Bruxelles-Capitale ufficialmente bilingue. Due partiti spingono per l’indipendenza delle Fiandre: la Nuova alleanza fiamminga guidata dal sindaco di Anversa, Bart De Wever, e Interesse fiammingo di Bruno Valkeniers. Quest’ultimo è considerato un movimento di estrema destra e chiede anche una rigida regolamentazione dell’immigrazione. Secondo i programmi degli indipendentisti, da una scissione nascerebbero tre Paesi: Fiandre, Vallonia e la città-Stato di Bruxelles. Le prime, a nord, finirebbero per essere la parte più ricca, il sud quella più povera, anche in base alla divisione del Pil accumulato nel corso dei decenni dal Belgio. Intanto nelle elezioni di maggio la Nuova alleanza fiamminga ha ottenuto un successo alle urne, sebbene la coalizione al governo abbia mantenuto la maggioranza. Resta premier ad interim Elio di Rupo, mentre il re Filippo ha incaricato De Wever di avviare colloqui per formare il nuovo esecutivo. In passato, quando le elezioni finirono con una sostanziale parità di partiti fiamminghi e valloni, il Paese rimase per 541 giorni senza governo.
FRANCIA-CORSICA. La Corsica lotta per l’autonomia dalla Francia e un segnale del fatto che il sentimento indipendentista si sta rafforzando è stato la vittoria del nazionalista Gilles Simeoni nelle municipali di aprile a Bastia, capitale economica dell’isola. Dagli anni ’70 il Fronte nazionale per la liberazione della Corsica (Fnlc) ha intrapreso una lotta armata per l’indipendenza, ma lo scorso 25 giugno ha annunciato la deposizione delle armi senza condizioni. Negli anni passati, e soprattutto nei Novanta, gli autonomisti si erano impegnati in azioni violente per dare voce alle rivendicazioni, compiendo diversi omicidi. Nel 2012 gli omicidi erano stati 19. Quello stesso anno il Fronte aveva minacciato di ricorrere di nuovo alle armi se Parigi non avesse riconosciuto i diritti dell’isola, facendo anche esplodere alcune case per contrastare la speculazione edilizia, che secondo gli indipendentisti ruba la Corsica agli isolani.
VENETO. Il 12 giugno scorso il Consiglio regionale del Veneto ha approvato la legge per l’indizione di un referendum consultivo sull’indipendenza della regione, su proposta di Stefano Valdegamberi (Futuro Popolare) e dalla Lega Nord. La consultazione dovrebbe chiedere ai veneti se sono a favore di una ‘repubblica indipendente e sovrana’. In precedenza gli attivisti per l’indipendenza del Veneto avevano organizzato un sondaggio su base volontaria, rispondendo alla domanda: ‘Vuoi che il Veneto diventi una repubblica federale indipendente e sovrana?’. Secondo gli organizzatori hanno votato sì 2.102.969 persone, pari all’89,10% dei votanti. I voti conteggiati sono stati 2.360.235, cioè il 73,2% degli aventi diritto al voto in Veneto. La consultazione non ha valore legale. È tornata così alla ribalta dell’agenda politica la questione della richiesta di autonomia dell’area nel nordest dell’Italia. Molti organizzatori della consultazione, esponenti di Plebiscito.eu, provengono da esperienze precedenti come ‘Veneto Stato’ o il ‘Partito nasional Veneto’.
IRLANDA. Il recente arresto e successivo rilascio di Gerry Adams, leader del partito irlandese Sinn Fein, per un sospetto coinvolgimento nel caso di omicidio di una donna da parte dell’Irish Republican Army (Ira) nel 1972, ha riportato il passato irlandese sulle prime pagine dei media internazionali. Un passato tormentato, per il quale oggi nel Nord Irlanda si osserva con attenzione il dibattito sul referendum per l’indipendenza della Scozia del 18 dicembre. Era il 1921 quando il trattato di pace anglo-irlandese concludeva la guerra d’indipendenza irlandese, combattuta contro il dominio britannico sull’isola. Il trattato arrivò dopo due anni di scontri fra il governo britannico in Irlanda e l’Irish Republican Army (Ira), guidato politicamente da Sinn Féin, il più importante partito repubblicano-nazionalista. L’anno successivo nasceva lo Stato libero d’Irlanda, come dominion all’interno del Commonwealth britannico, con capitale Dublino: le 26 contee del sud dell’Irlanda, prevalentemente cattoliche, ottenevano così l’indipendenza dal Regno Unito. Sei contee, a prevalenza protestante ma con una consistente minoranza cattolica, restavano invece sotto il controllo di Londra, formando l’Irlanda del nord: un’area che ancora oggi fa parte del territorio del Regno Unito, con capitale Belfast. Nelle sei contee del nord i cattolici chiedevano l’unione alla repubblica irlandese, mentre i protestanti la conservazione dell’unione con il Regno Unito. Nel 1998 arrivò la firma del Belfast Agreement, o gli Accordi del Venerdì santo: veniva sancito il ritorno del Parlamento di Stormont in Irlanda del nord e si iniziava il cammino di disarmo dei gruppi armati. Nel 2005 l’Ira ha rinunciato ufficialmente alla lotta armata.
SERBIA E KOSOVO. Lo scorso 22 giugno si sono verificate nuove tensioni in Kosovo, dove a Mitrovica manifestanti albanesi si sono scontrati con la polizia mentre protestavano contro il blocco di un ponte tra le comunità albanesi e serbe nella città. Le violenze si sono verificate dopo che una minoranza locale di serbi ha ricostruito una barricata sul ponte del fiume Ibar, che era già stata rimossa la settimana precedente. È solo l’ultimo esempio delle difficili relazioni tra residenti serbi e albanesi del Kosovo. Il blocco del ponte è un simbolo del rifiuto da parte della comunità serba dell’indipendenza autodichiarata dal Kosovo e dell’autorità del governo a Pristina. Il Kosovo è stato amministrato dall’Onu fino al 2008, quando ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza da Belgrado, mai riconosciuta dalla Serbia. Circa il 90% della popolazione del Kosovo è di etnia albanese. I residenti serbi sono circa 100mila.
Diversa la storia e la situazione della provincia autonoma serba della Vojvodina. Una decisione della Corte costituzionale serba del 2013, che ha dichirarto incostituzionali alcune parti dello statuto di autonomia della regione, ha riacceso il dibattito sulle prerogative del territorio. La Vojvodina, che faceva parte dell’Austria-Ungheria prima della Grande Guerra, ha come capoluogo Novi Sad ed è uno dei territori con più varietà etnica d’Europa: sono presenti oltre 25 comunità nazionali diverse. Secondo un censimento del 2012, i serbi costituiscono circa il 65% della popolazione della regione, seguiti dagli ungheresi al 14% e croati e slovacchi al 2,8% circa ciascuno. Oltre al serbo, la provincia riconosce come lingue ufficiali l’ungherese, il rumeno, lo slovacco e il ruteno. La Vojvodina aveva ottenuto l’autonomia già nel 1974; Slobodan Milosevic però gliela tolse e la regione la riacquistò formalmente nel 2002. Ne viene chiesto però un rafforzamento. L’autonomia della Vojvodina è sostenuta sia dagli ungheresi, che dai serbi della regione.
UCRAINA, CRIMEA E DONETSK. Infine un riferimento all’Ucraina, la cui vicenda è stata negli ultimi mesi molto legata alla politica europea pur non facendo parte del blocco a 28. Lo scorso 27 giugno il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha firmato lo storico accordo di associazione con l’Ue, che prevede una serie di patti commerciali ed economici. Si tratta dello stesso accordo che ha scatenato a novembre scorso le massicce proteste di piazza che hanno portato alla fuga dell’ex presidente Viktor Yanukovych in Russia e, successivamente, all’istituzione di un nuovo governo ad interim a Kiev. Da allora sono cominciati i disordini nelle zone russofone e filorusse dell’Ucraina, che hanno iniziato a rivendicare l’indipendenza da Kiev. A marzo la Russia ha prima occupato e poi annesso la Crimea, a seguito del referendum del 16 marzo con cui gli abitanti si sono espressi a favore della secessione dall’Ucraina; poi sono cominciati scontri nell’est del Paese, dove i separatisti hanno occupato molti edifici governativi istituendo le Repubbliche autonome di Donetsk e Luhansk, e Kiev ha lanciato un’offensiva militare per riprendere il controllo delle zone.
Un particolare interessante a proposito della Crimea è che, per giustificarne l’annessione, il presidente russo Vladimir Putin ha sempre presentato il caso come un esempio di autodeterminazione, paragonandolo a quello del Kosovo. Oltre alle analogie, però, fra Kosovo e Crimea ci sono grandi differenze. Entrambe le regioni hanno provato a ottenere l’indipendenza contro la volontà del governo centrale (nel primo caso Belgrado, nel secondo Kiev); entrambe hanno una maggioranza che appartiene a una minoranza etnica (gli albanesi che temevano la repressione serba sotto il governo di Milosevic, e i russi che temevano i nazionalisti ucraini saliti al potere a febbraio); infine in entrambi i casi c’è stato un intervento militare nell’area (prima la Nato, poi la Russia). Tuttavia è anche vero che la Nato è intervenuta in Kosovo nel 1999 solo dopo prove consistenti di abusi contro gli albanesi, comprese uccisioni di massa, mentre le forze filorusse sono intervenute in Crimea senza notizie di abusi contro i russi; inoltre il Kosovo non fu annesso ad alcuno Stato occidentale (ma vi vennero inviati peacekeeper), né si unì alla vicina Albania, mentre le truppe russe hanno preso di fatto il controllo della Crimea prima che si tenesse il referendum di marzo e la regione ha firmato l’accordo di annessione a Mosca solo due giorni dopo il voto.