Gerusalemme, 22 gen. (LaPresse/AP) – Circa 5,6 milioni di cittadini israeliani si stanno recando alle urne per le parlamentari anticipate. I seggi chiuderanno alle 22 ora locale, le 21 in Italia, e i risultati preliminari sono attesi circa due ore dopo. Secondo i sondaggi, nonostante gli ultimi difficili mesi al governo, il voto dovrebbe tornare a premiare il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu, il cui Likud si è alleato con il partito di destra Yisrael Beytenu di Avigdor Lieberman. Ma è attesa una forte avanzata del partito nazionalista emergente Habayit Hayehudi (Focolare ebraico), guidato da Naftali Bennett, così come di tutte le formazioni religiose. Un buon risultato del partito di Bennett, che i sondaggi danno a 14 seggi sui 120 che compongono la Knesset (il Parlamento israeliano), potrebbe spostare gli equilibri di governo.
PARTITI IN CAMPO. Sono 32 i partiti che si presentano al voto, ma secondo i sondaggi solo una dozzina riusciranno a conquistare almeno un seggio. A ottenere il maggior numero di voti dovrebbero essere il partito del primo ministro Benjamin Netanyhau, Likud, che per l’occasione ha stretto un’alleanza elettorale con Yisrael Beitenu, del ministro degli Esteri uscente Avigdor Lieberman; quindi il partito laburista Haavoda, guidato da Shelly Yachimovich; e poi proprio Focolare ebraico. Tra gli altri partiti che potrebbero ottenere ampie preferenze, l’ultraortodosso Shas e i centristi Yesh Atid e Hatnua. Il primo si concentra in particolare sulle questioni interne, il secondo è l’unica formazione a spingere sulla pace con i palestinesi come priorità.
SARA’ NECESSARIA COALIZIONE. Benché il partito del premier uscente dovrebbe ottenere una vittoria netta, i seggi che otterrà non saranno comunque la maggioranza assoluta. E questo costringerà il Likud a formare una coalizione, come sempre avvenuto nei 64 anni di vita dello Stato israeliano. Il Likud potrebbe quindi scegliere di allearsi con la destra, corteggiare i partiti centristi, oppure provare a stabilire una formazione più ampia.
NETANYAHU: NOSTRA VITTORIA E’ UN BENE. Intanto, Netanyahu si è recato alle urne di prima mattina, a Gerusalemme, con la moglie Sara. Prima di entrare al seggio, sorridente, ha detto ai giornalisti che sarebbe “un bene per Israele” se al suo partito arrivasse una marea di voti.
TEMI DI DIBATTITO. Molte le questioni sul tavolo. Dai problemi economici al timore di uno scontro armato con l’Iran. Ma la principale rimane comunque il conflitto con i palestinesi, che chiedono il riconoscimento di uno Stato composto da Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme Est. La maggioranza degli israeliani, sostiene una divisione della terra in due Stati, ma è scettica sulla possibilità di realizzarla ora. Nel 2009 Netanyahu si era detto disponibile a trattare sui termini per uno Stato palestinese. Ma in realtà il governo di Tel Aviv in questi anni ha continuato ad appoggiare e a permettere la costruzione di colonie in Cisgiordania dopo un parziale congelamento di 10 mesi.
RELAZIONI INTERNAZIONALI. Durante l’ultimo governo di Netanyhau (già premier tra 1996 e 1999), Tel Aviv è diventata sempre più isolata a livello internazionale e negli ultimi mesi le sue politiche sugli insediamenti hanno ricevuto critiche anche dallo storico alleato statunitense. A novembre, l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha votato a larghissima maggioranza il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro. Il voto ha molto infastidito il governo di Tel Aviv che ha lanciato pochi giorni dopo un’offensiva armata sulla Striscia di Gaza che ha causato oltre cento vittime palestinesi.
APPELLO DELLA LEGA ARABA. Intanto, il palestinese Mohammed Sobeih, consigliere del segretario generale della Lega araba, Nabil Elaraby, lancia un appello agli arabi di Israele, circa il 20% del totale della popolazione, affinché si rechino alle urne. È importante, ha spiegato, che vadano a votare per cercare di sventare i piani “razzisti” volti a cacciarli dalle loro case. Una mancata rappresentanza degli arabi, ha aggiunto Sobeih, permetterebbe al Parlamento di adottare leggi “razziste”.