Damasco (Siria), 15 lug. (LaPresse/AP) – La Siria nega di aver utilizzato armi pesanti durante le operazioni a Tremseh, dove giovedì hanno perso la vita oltre cento persone. Parlando con i giornalisti a Damasco, il portavoce del ministero degli Esteri, Jihad Makdissi, ha riferito che nel villaggio nella provincia di Hama si è svolta un’operazione militare con obiettivo i combattenti armati, non un massacro di civili, come denunciato dagli attivisti. Le dichiarazioni contraddicono da una parte i racconti dell’opposizione siriana e dall’altra quelli dell’Onu, i cui osservatori hanno riportato che nella zona sono stati impiegati elicotteri d’attacco e armi pesanti. Dopo l’operazione, il cui bilancio delle vittime varia da 103 a 152 a seconda delle fonti, decine di persone sono già state sepolte in fosse comuni.
Ieri, in una nota, gli osservatori delle Nazioni unite che hanno visitato l’area della strage hanno fatto sapere che nell’operazione sono stati presi di mira gli oppositori del regime. L’attacco, hanno spiegato, “sembra aver colpito specifici gruppi e case, principalmente di disertori dell’esercito e attivisti”. In molte case gli osservatori hanno trovato sangue e pallottole, ma non possono confermare ancora il numero esatto delle vittime. È evidente tuttavia, si legge nella nota, che l’operazione è stata condotta giovedì utilizzando artiglieria, mortai e armi leggere.
Dai dettagli reperiti nel villaggio dagli osservatori sembra che, piuttosto che il bombardamento di civili denunciato dall’opposizione, si sia verificato un combattimento squilibrato tra l’esercito alla ricerca di oppositori da un lato e attivisti e abitanti dall’altro, nel tentativo di difendere il villaggio. Quasi tutte le persone morte sono infatti uomini, tra cui decine di ribelli armati. Secondo gli attivisti il numero crescerà perché molte persone sono ancora disperse e si teme che i cadaveri possano essere stati buttati nel vicino fiume Oronte. In seguito all’episodio, sono arrivate condanne da tutto il mondo, comprese quelle del segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-moon, e dell’inviato speciale di Onu e Lega araba, Kofi Annan.