Beirut (Libano), 8 apr. (LaPresse/AP) – Nuovo stallo nell’applicazione del piano di pace per la Siria. Oggi le autorità di Damasco hanno infatti annunciato che non ritireranno le truppe dalle città, come previsto dalla proposta dell’inviato dell’Onu Kofi Annan, se non avranno “garanzie scritte” da parte dei “gruppi terroristi armati” del Paese. Lo ha fatto sapere il ministero degli Esteri siriano in una nota, precisando che i gruppi devono mettere per iscritto che a loro volta “deporranno le armi”.

Il portavoce del ministero, Jihad Makdessi, ha riferito che le precedenti dichiarazioni secondo cui Damasco avrebbe ritirato i propri soldati dalle città e dai sobborghi entro martedì “sono spiegazioni sbagliate”. Makdessi ha aggiunto che la Siria non permetterà che si ripeta quanto accaduto durante la missione della Lega araba in Siria a gennaio, quando il regime ha ritirato le proprie forze armate dalle città e dai dintorni, mentre i ribelli prendevano possesso di quelle stesse zone. “I terroristi armati usarono quella situazione per riarmare i propri elementi e allargare la loro autorità a interi distretti”, ha detto Makdessi. Quest’ultimo ha quindi denunciato il fatto che Qatar, Arabia Saudita e Turchia starebbero armando e finanziando l’opposizione e ha chiesto che questo venga fermato.

Giovedì, una dichiarazione della presidenza delle Nazioni unite ha parlato della possibilità di “ulteriori passi” se la Siria non applicherà il piano di pace di sei punti di Kofi Annan, che Assad ha accettato di rispettare. Rapida la risposta dell’opposizione alle dichiarazioni odierne del governo. Il colonnello Riad al-Asaad, dell’Esercito libero siriano, ha ribadito che il suo gruppo non riconosce il regime del presidente Bashar Assad e pertanto non fornirà alcuna garanzia. Ha inoltre detto ad Associated Press, durante una telefonata dalla Turchia, che se il governo rispetterà il piano dell’inviato speciale di Annan, il suo esercito cesserà il fuoco. Secondo al-Asaad, il regime dovrebbe ritirare le proprie forze dalle basi e rimuovere i posti di blocco dalle strade.

Intanto, però, non si fermano le violenze. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, le vittime oggi sono almeno 40, tra cui 21 civili, sette soldati disertori e 12 membri dell’esercito di Damasco. I Comitati di coordinamento locali, secondo cui tra le vittime sei sono bambini, riportano che sette persone sono morte a Homs e 12 nella provincia di Hama. Tra queste ultime, sette sono membri di una sola famiglia.

Decine di veicoli armati, riferiscono gli attivisti, hanno attaccato da est la città nordoccidentale di Jisr al-Shughour, in provincia di Idlib. La città di Homs, è invece sotto attacco da tre fronti, nelle aree in mano ai ribelli di Khaldiyeh, Vecchia Homs e Deir Baalbeh. In quest’ultimo, spiega l’attivista Tarek Badrakhan, sono in corso scontri tra soldati e disertori. A Khaldiyeh, invece, gli abitanti faticano a seppellire i propri morti a causa degli attacchi. In un video amatoriale pubblicato online si vedono inoltre bombe cadere su quella che viene spiegato essere la zona residenziale di Qusour a Homs, con alte colonne di fumo che si alzano dall’area. L’Osservatorio ha confermato gli scontri nella zona, dove i disertori hanno ucciso quattro soldati del governo e danneggiato veicoli armati. Attacchi sono avvenuti inoltre in alcuni sobborghi di Damasco, Darya, Douma e Beit Jin, così come nella provincia di Aleppo.

“L’attuale escalation di violenza – ha commentato Kofi Annan – è inaccettabile” e il governo siriano deve ricordare “il bisogno della piena applicazione dei suoi impegni” per la pace. Secondo Annan, i combattimenti stanno causando “livelli allarmanti di vittime, rifugiati e sfollati” e devono concludersi. L’inviato delle Nazioni unite, tuttavia, non ha ancora commentato le richieste di maggiori garanzie sul disarmo dei ribelli avanzate dal governo di Damasco.

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