Phnom Penh (Cambogia), 22 nov. (LaPresse/AP) – I leader viventi dei Khmer rossi non possono attribuire a Pol Pot tutta la responsabilità delle atrocità commesse dal regime. Lo ha sostenuto, nel secondo giorno del processo ai vertici del regime cambogiano, Andrew Cayley, procuratore al tribunale misto dell’Onu di Phnom Penh dove ieri si è aperto il processo. I tre imputati devono rispondere di crimini contro l’umanità, genocidio, persecuzione religiosa, omicidio e tortura. Tutti ultraottantenni, potrebbero non arrivare mai al verdetto, cancellando le speranze di giustizia di sopravvissuti e del popolo cambogiano. Per questo, le accuse sono state separate perché siano affrontate in processi separati, in modo da velocizzare il giudizio.
Il procuratore ha detto che i tre anziani membri, presenti nell’aula di tribunale, hanno esercitato autorità sulla vita e la morte delle vittime uccise nei campi di sterminio negli anni del regime, tra il 1975 e il 1979. “Gli accusati non possono sostenere in modo credibile – ha detto – che non sapessero e non avessero il controllo sui crimini commessi”. Nei campi morirono un milione e 700mila persone, in esecuzioni sommarie o per fame e carenza di cure. Nel secondo giorno di processo, Cayley ha continuato le dichiarazioni di apertura, iniziate ieri con la lista degli orrori, grandi e piccoli, commessi per perseguire un nuovo ordine sociale: il sistema di lavoro forzato, l’abolizione della proprietà privata e delle libertà personali, tra cui quella di religione e di stampa. La maggior parte della popolazione fu costretta a lavorare in grandi comuni rurali e si vide negata ogni vita privata, fino ai matrimoni forzati.
“Questi crimini furono il risultato di un piano organizzato, sviluppato dagli imputati e da altri leader e sistematicamente applicato”, ha detto Cayley. Ha proseguito: “Non possono essere attribuiti solo a Pol Pot, come alcuni accusati vorrebbero far credere”. A processo sono il principale ideologo Nuon Chea, 85 anni; l’ex capo di Stato Khieu Samphane, 80anni; l’ex ministro degli Esteri Ieng Sary, 86 anni. Il leader dei Khmer Rossi, Pol Pot, è morto nel 1998 mentre era prigioniero dei suoi stessi alleati nella giungla, mentre una quarta imputata, la 79enne Ieng Thirith, è stata dichiarata impossibilitata a sostenere il processo perché soffre di Alzheimer, sebbene resti detenuta. Thirith è la moglie di Ieng Sary e fu ministro per gli Affari sociali del regime.
Gli accusati erano presenti in aula, sebbene l’avvocato di Ieng Sary abbia chiesto che questo potesse seguire le udienze de una stanza separata speciale, per alleviargli la sofferenza fisica del restare seduto in aula. Il giudice Nil Non ha respinto la richiesta, come aveva già fatto ieri, sostenendo l’importanza che tutti gli imputati fossero presenti durante le dichiarazioni dell’accusa. Ieri Chea Lang, della procura, ha insistito che le prove mostreranno al mondo che il regime sia stato “tra i più brutali e orrendi nella storia moderna”. Domani toccherà alla difesa rispondere alle dichiarazioni dei procuratori, mentre le testimonianze inizieranno il 5 dicembre. Il tribunale, istituito nel 2006, sinora ha condannato il direttore di un campo di detenzione, Kaing Guek Eav, per crimini di guerra, contro l’umanità e altri. La sua sentenza è stata ridotta a 19 anni di carcere.