New York (New York, Usa), 21 set. (LaPresse/AP) – La questione palestinese e la richiesta che l’Anp avanzerà venerdì per il riconoscimento di uno Stato indipendente e l’ingresso nell’Onu sono stati al centro della giornata di apertura della 66esima Assemblea generale delle Nazioni unite. Ma dopo gli interventi di Barack Obama e Nicolas Sarzoky sembra sempre più difficile che la Palestina possa vincere la sua battaglia. Il presidente statunitense si è detto favorevole alla nascita di uno Stato palestinese, ma in primo piano ha posto nel suo discorso l’importanza della sicurezza di Israele chiedendo ai palestinesi di non prendere “scorciatoie” per il raggiungimento dell’obiettivo. Il suo omologo francese ha sviato la questione della richiesta palestinese di ingresso all’Onu come Stato membro, provando invece a dettare i tempi per una possibile proposta di pace da portare a termine entro un anno senza passare per il voto delle Nazioni unite. Dopo il suo discorso Obama ha poi incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu che ha ringraziato il capo della Casa Bianca per essersi opposto, anche se non esplicitamente, alla richiesta dei palestinesi.
Obama ha in programma anche un incontro con Mahmoud Abbas dal quale finora non sono arrivati commenti al suo discorso. Il presidente dell’Anp ha promesso di portare avanti la battaglia per la nascita dello Stato e l’ingresso nell’Onu, e venerdì parlerà all’Assemblea e formalizzerà attraverso una lettera la sua richiesta alle Nazioni unite. Il suo consigliere ed ex negoziatore Saeb Erekat, riferisce che Abbas non accetterà un rinvio del voto. “Non permetteremo alcuna manipolazione politica su questo tema”, ha aggiunto Erekat. La richiesta dovrà essere sottoposta al Consiglio di sicurezza, ma in caso di bocciatura (se non si raggiungessero almeno 9 voti favorevoli su 15 oppure ci fosse un veto da parte di uno degli Stati che ne hanno diritto, ossia Usa, Francia, Russia, Regno Unito e Cina), i palestinesi dovranno accontentarsi di chiedere all’Assemblea generale lo status di membro osservatore.
“Non c’è dubbio – ha detto Obama nel suo intervento all’Assemblea – che i palestinesi abbiano investito così tanto tempo e così tanti sforzi per la costruzione dello Stato e per i negoziati, e la Palestina merita uno Stato indipendente. Ma bisogna anche comprendere che l’impegno dell’America per garantire la sicurezza di Israele è inamovibile. Non devono esser prese scorciatoie per mettere fine al decennale conflitto tra israeliani e palestinesi”. Obama ha messo in guardia i palestinesi dal percorrere strade semplici. “La pace – ha detto – non arriverà tramite dichiarazioni e risoluzioni delle Nazioni unite. Se fosse così facile, sarebbe già stato fatto. Alla fine sono gli israeliani e i palestinesi a dover vivere gli uni accanto agli altri. Sono loro, non noi, a dover trovare un accordo sulle questioni che li dividono”.
Ma è soprattutto la sicurezza di Israele a interessare gli Usa. “Israele – ha detto ancora Obama – è un Paese con meno di 8 milioni di abitanti e leader di Paesi molto più grandi stanno cercando di cancellarlo. Noi dobbiamo riconoscere i diritti sia dei palestinesi che degli israeliani, in modo che possano vivere in pace e in sicurezza”. Il leader americano ha poi anche riconosciuto gli ostacoli sul percorso verso una vera pace. “Nonostante sforzi considerevoli dell’America e di altri – ha aggiunto – le due parti non sono ancora riuscite a colmare le differenze. La pace dipende da un compromesso tra popoli che devono vivere insieme dopo che i nostri discorsi saranno finiti e dopo che i nostri voti saranno stati contati”.
Contrario alla mossa palestinese di chiedere l’ingresso come Stato membro all’Onu è stato anche Sarkozy, più propenso a un ingresso della Palestina come Paese osservatore. Il presidente francese ha proposto la ripresa dei colloqui di pace tra un mese, un accordo su confini e sicurezza in sei mesi e uno definitivo entro un anno. Nel suo discorso all’Assemblea generale, Sarkozy ha sottolineato che dopo 60 anni di fallimenti è arrivato il momento di cambiare tattica. Gli sforzi per raggiungere un vero accordo, ha spiegato, devono includere un raggio più ampio di partecipanti, comprese le nazioni arabe che finora sono sempre state messe da parte. “I colloqui – ha però aggiunto – sono destinati a fallire” se l’una o l’altra parte fisserà dei prerequisiti.