Roma, 30 ago. (LaPresse) – Torture, maltrattamenti e omicidi per eliminare gli oppositori politici detenuti nelle carceri siriane. È quanto rivela un nuovo rapporto diffuso oggi da Amnesty International, secondo cui in Siria almeno 88 persone sono morte in prigione durante i cinque mesi di sanguinosa repressione delle manifestazioni per le riforme, segnati da arresti di massa. Le vittime, tutte di sesso maschile, comprendono anche minorenni, alcuni dei quali di soli 13 anni. Le 88 morti registrate da aprile ad agosto rappresentano un significativo aumento rispetto ai cinque morti in prigione all’anno riscontrate da Amnesty International negli ultimi anni in Siria.
“Le morti dietro le sbarre – spiega Neil Sammonds, ricercatore di Amnesty sulla Siria – stanno raggiungendo una dimensione massiccia e paiono costituire il prolungamento dello stesso brutale disprezzo per la vita cui stiamo assistendo giorno dopo giorno nelle strade della Siria. I resoconti delle torture che riceviamo sono orribili. Crediamo che il governo di Damasco stia perseguitando in modo sistematico e su vasta scala il suo stesso popolo”.
Tutte le vittime citate nel rapporto erano state arrestate perché avevano preso parte, o erano sospettate di aver preso parte, alle proteste di massa lanciate a marzo dal movimento per le riforme. In almeno 52 degli 88 casi, vi sono prove che maltrattamenti e torture abbiano causato direttamente la morte o abbiano contribuito a causarla. Amnesty International ha visionato immagini di 45 di questi casi, filmate da parenti, attivisti o altre persone, e ha chiesto di analizzarne un certo numero a esperti indipendenti di medicina legale. Le ferite riscontrate sul corpo di molte vittime indicavano che avevano potuto ricevere violenze durissime. Tra i segni della tortura, vi erano quelli di bruciature, frustate, schiaffi e percosse.
La maggior parte dei decessi denunciati nel rapporto è avvenuta nei governatorati di Homs e Dera’a, sedi delle principali proteste. Morti in prigione sono state registrate anche in altri cinque governatorati: Damasco, Rif Damashq, Idlib, Hama e Aleppo.
Hamza Ali al-Khateeb, 13 anni, scomparso il 29 aprile durante le proteste contro l’assedio di Dera’a, è stato ritrovato morto con segni di percosse e il pene mozzato. Un filmato visionato da Amnesty International mostra il corpo di Tariq Ziad Abd al-Qadr, un uomo di Homs, nelle condizioni in cui era stato restituito alla famiglia, il 16 giugno. Aveva i capelli strappati e segni sul collo e sul pene, probabilmente causati da scariche elettriche, e inoltre quella che sembrava una bruciatura di sigaretta, cicatrici di frustate, ematomi e ferite da taglio. Il corpo del dottor Sakher Hallak, che dirigeva una clinica per disturbi alimentari ad Aleppo, è stato rinvenuto sul ciglio di una strada pochi giorni dopo il suo arresto, avvenuto il 25 maggio. Secondo quanto testimoniato da alcune fonti ad Amnesty International, il suo corpo presentava segni di fratture alle costole, alle braccia e alle dita. Gli era stato cavato un occhio e gli erano stati tagliati i genitali.
Amnesty International non è a conoscenza di alcuna indagine indipendente svolta sulle cause della morte dei casi citati nel suo rapporto. L’organizzazione ha chiesto da tempo al Consiglio di sicurezza dell’Onu di riferire la situazione della Siria alla Corte penale internazionale, imporre un embargo sulle armi verso il Paese e congelare i patrimoni del presidente Bashar al-Assad e dei suoi collaboratori di maggiore profilo.
“Nel contesto delle violazioni massicce e sistematiche che stanno avendo corso in Siria, riteniamo che queste morti in prigione possano costituire crimini contro l’umanità. La reazione del Consiglio di sicurezza è stata sinora profondamente inadeguata, ma non è troppo tardi per intraprendere un’azione ferma e giuridicamente vincolante nei confronti della Siria”, ha concluso Sammonds.
Amnesty International ha i nomi di oltre 1.800 persone morte dall’inizio delle manifestazioni per le riforme. Migliaia di altri cittadini sono stati arrestati e molti sono detenuti in luoghi segreti, a rischio di torture e di morte.