Rosia Montana (Romania), 21 ago. (LaPresse/AP) – Una terra da fiaba, con una pentola d’oro sepolta sotto di essa che diventa motivo di discordia. Una società canadese vuole demolire la parte antica della città rumena di Rosia Montana, in Romania, per fare spazio a una miniera a cielo aperto che avrebbe una capacità di estrazione di 300 tonnellate d’oro e 1.600 tonnellate d’argento. Il piano, che prevede l’utilizzo del cianuro nel processo di estrazione, ha trovato però l’opposizione feroce degli ecologisti e di molti degli abitanti della zona, che vogliono preservare il patrimonio ambientale e artistico. Rosia Montana si trova in Transilvania. La regione rumena conosciuta come la patria del vampiro Dracula è una terra di montagne maestose, sterminate foreste e prati punteggiati da coni di fieno, con carretti trainati da cavalli come in una fiaba dei fratelli Grimm.
Gli abitanti che vorrebbero preservare questo paradiso rurale sembrano insensibili ai problemi dell’economia del Paese, in stagnazione, forti di pareri come quelli del principe britannico Carlo, che ha definito la Transilvania “un tesoro nazionale” della Romania, “la migliore delle esportazioni”. La Canada Rosia Montana Gold Corp., che ha istituito un consorzio di investitori per sfruttare l’oro di Dracula, la pensa diversamente e si è detta pronta al versamento di un indennizzo agli abitanti dei villaggi, garantendo il rispetto dell’ambiente e impegnandosi a investire nel restauro di alcuni dei monumenti storici, tra cui la rete di gallerie costruite dagli antichi romani. “La cosa peggiore che potrebbe accadere – ha detto il portavoce locale del consorzio, Catalin Hosu – è che non venga sfruttata una delle più grandi opportunità di sviluppo per la regione, senza la quale le popolazioni locali non avrebbero di che tirare avanti”.
La Canada Rosia Montana ha preparato un investimento da 400 milioni di dollari sulla miniera, di cui lo Stato rumeno terrebbe per sè una quota del 20%. Nei piani del consorzio c’è la creazione di 2.000 posti di lavoro nella fase del cantiere della miniera, che garantirebbe poi ‘a regime’ 150 impieghi fissi. A Rosia Montana, cittadina di circa 4mila abitanti, la disoccupazione è all’80%, ma il britannico-rumeno Idre Ratiu, il leader della fazione ecologista, organizzata nell’associazione Pro-Patrimonium, sostiene che “bisogna trovare il giusto equilibrio tra conservazione e sviluppo”, mentre il progetto della miniera “si spinge troppo lontano”. Secondo Ratiu, che spinge per una soluzione meno invasiva combinata con il turismo, “gli azionisti di Rosia Montana in tutto il mondo non hanno idea di quello che sta succedendo qui e mi piacerebbe comunicare con loro”. L’utilizzo del cianuro nel processo di estrazione ha portato anche il Governo della vicina Ungheria a prendere una posizione ufficiale contro l’avvio del cantiere per la miniera in Transilvania.
Il segretario di Stato ungherese ha inviato nei giorni scorsi una lettera al ministro all’Ambiente rumeno, Laszlo Borbely, per chiedere alle autorità di Bucarest di ripensarci. Ma il presidente rumeno, Traian Basescu, ha respinto al mittente la richiesta di Budapest affermando che “la Romania è uno Stato sovrano” che ha bisogno dell’investimento della società canadese, anche per l’impennata dei prezzi mondiali dell’oro. “Ho sostenuto il progetto – ha spiegato Basescu – come qualsiasi altro piano di sviluppo industriale. Quale Paese seduto su una miniera d’oro non cercherebbe di sfruttarla?”. La notizia ufficiale dell’Ungheria non è stata riportata dai media rumeni, che hanno incassato ingenti somme sostanziose in pubblicità dalla Canada Rosia Montana. Il nervosismo di Budapest è giustificato dal fatto che una delle peggiori perdite di cianuro avvenne proprio in Romania, nel 2000, quando attraverso il fiume Tisza e il Danubio, 100 tonnellate della sostanza letale uccisero un gran numero di pesci in Ungheria e Serbia, provocando uno dei peggiori disastri ambientali degli ultimi anni. Uno dei maggiori oppositori alla miniera d’oro è padre Arpad Palfi, il parroco di Rosia Montana, cappellano in una chiesa del XVIII secolo a cui il consorzio a promesso fondi per il restauro della struttura, fatiscente a causa dei muri scrostati e dei segni dell’umidità. “Non mi possono comprare – ha dichiarato il parroco – sono indipendente”.