Somalia, bimbo tra gli stenti al campo profughi: ce la farà al 50%

Dadaab (Kenya), 27 lug. (LaPresse/AP) – Mihag Gedi Farah ha sette mesi e pesa tre chili e quattrocento grammi, come un neonato. Sua madre è riuscita a portarlo dalla città somala di Kismayo nel campo profughi di Dadaab, nel nord del Kenya, dopo un viaggio durato una settimana. Sirat Amine, un’infermiera e nutrizionista che lavora per International Rescue Committee, spiega che il bambino ha il 50% di possibilità di sopravvivere. “Ovviamente – aggiunge subito l’infermiera – non diciamo mai alle madri che i loro bambini potrebbero non farcela, cerchiamo di dare loro speranza”.

Organizzazioni umanitarie avvertono che circa 800mila bambini rischiano la morte nel Corno d’Africa a causa della “siccità epica” che ha colpito la regione. Il 20 luglio scorso le Nazioni unite hanno dichiarato la carestia nelle regioni somale di Bakool e della Basso Shabelle. Per gli standard si parla ufficialmente di carestia quando ogni giorno due adulti o quattro bambini all’interno di un gruppo di 10mila persone muoiono di fame e quando il 30% della popolazione è fortemente malnutrito.

La maggior parte della Somalia meridionale è nelle mani dei ribelli islamici, che hanno bandito le agenzie umanitarie due anni fa. La faccia scavata di Mihag fa pensare a quanti bambini come lui rimangono intrappolati in Somalia, lontani dai medici del campo profughi. Mihag è il più piccolo di sette fratelli e sua madre lo ho portato nel campo insieme ad altri quattro dopo che tutto il bestiame che apparteneva alla loro famiglia è morto a causa della siccità. Come le altre decine di migliaia di somali in fuga dalla carestia, la famiglia di Mihag ha viaggiato per lo più a piedi.

“Dentro di me non sto bene”, confessa la madre del piccolo, Asiah Dagane. “Mio bambino è malato – prosegue – e anch’io non sto bene”. L’Onu stima che oltre 11 milioni di persone nell’Africa dell’Est sono state colpite dalla crisi e la situazione è più difficile proprio in Somalia, dove è in corso una guerra civile. Agenzie umanitarie, tra cui il Programma alimentare mondiale (Pam), non sono in grado di accedere alle zone del Paese controllate dai militanti della milizia di al-Shabab, che nel passato hanno ucciso diversi cooperanti.

Lo scorso lunedì si è svolto un vertice straordinario della Fao a Roma, durante il quale si è deciso di lanciare subito un ponte aereo per portare aiuti in Kenya, ma soprattutto a Mogadiscio, in un tentativo di raggiungere almeno 175mila dei 2,2 milioni di somali che finora non sono stati assistiti. La Banca mondiale ha stanziato 500 milioni di dollari, di cui 8 per l’immediata emergenza e gli altri 492 per finanziare progetti a favore degli agricoltori locali. Fondi che si accompagnano ai 100 milioni di euro promessi dall’Unione europea, di cui 10 dalla Francia, che ha raddoppiato il finanziamento iniziale. La distribuzione degli aiuti sarà però tutt’altro che facile: il Wfp non lavora nella zona da due anni e dovrà ricontattare vecchi dipendenti e i trasporti sono ulteriormente ostacolati dalle mine piazzate dai militanti nelle strade principali della Somalia.