Report di Kpmg: Manchester United e Real Madrid al top
Nel confronto tra l'ideale stagione imprenditoriale europea del calcio che si è chiusa al primo gennaio 2016 e quella 2015/2016 giocata sul campo, le somiglianze non mancano. Anche nel report 'Football Clubs' Valuation: The European Elite' realizzato da Kpmg, che ordina le 32 maggiori società continentali per valore d'impresa, la sorpresa viene dall'Inghilterra, mentre in Italia a dominare è la Juventus (che vale 983 milioni), in grado addirittura di fare meglio di Inter e Milan prese assieme (944 milioni in due). La differenza è che a trovare la performance inaspettata non è il Leicester, ma il Manchester United, che – nonostante le delusioni sul rettangolo di gioco – con 2,9 miliardi di euro si piazza in cima alla top ten insieme al Real Madrid, superando Barcellona (2,758 miliardi), Bayern Monaco (2,153), Arsenal (1,663), Manchester City (1,620), Chelsea (1,453), Liverpool (1,273), Juventus (983 milioni) e Paris Saint Germain (843 milioni). La classifica è stata stilata sulla base di una metodologia che incrocia profittabilità, popolarità, potenziale sportivo, diritti televisivi e stadio di proprietà.
Una Champions League dell'imprenditoria il cui peso è sempre più evidente. "Le società sportive hanno una caratteristica: tutto parte dal successo. Se vinci hai i tifosi, i media ti seguono e gli sponsor ti vogliono", spiega Andrea Sartori, responsabile del settore Sport di Kpmg, "ma il fair play finanziario ha portato le squadre a capire che devono diventare finanziariamente sostenibili. E sta formando una nuova cultura sportiva: oggi tanti tifosi sanno qual è il fatturato della loro squadra". Quello che i supporter italiani si chiederanno, guardando una classifica a 32 in cui i club di Serie A sono 7 come quelli della Premier League, ma rispetto agli inglesi assommano un valore totale inferiore del 70% (poco più di 3 miliardi contro 10,2), è come i fatturati possano crescere per i loro team del cuore. Se la Juventus è un esempio virtuoso, per lo stadio di proprietà e perché "la società è ben gestita", resta il fatto che "non è il singolo club, è l'industria del calcio che va rivista", afferma ancora Sartori, sgombrando il campo dall'idea che basti una semplice iniezione di liquidità, in arrivo magari dai Paesi emergenti. "C'è interesse, perché le squadre italiane hanno appeal e brand importanti", precisa a riguardo, "il punto è che dentro queste squadre bisogna portare una gestione imprenditoriale".
Per quanto riguarda la crescita di un club, dall'analisi di Kpmg emergono tre driver principali: diritti di broadcasting, ricavi da stadio e margini commerciali. Ai quali si aggiungono la gestione finanziaria e quella dei calciatori. Se diritti e stadio offrono meno margini di manovra, il primo in ragione di una contrattazione sempre più collettiva e il secondo a causa del limite dato dalla capacità delle arene, a dare maggiori prospettive rimane la leva commerciale. Cioè, la capacità di globalizzare il brand. E qui entra in scena un'altra peculiarità dei team: la capacità di creare passione. Come mostra il report, sommando il valore d'impresa di Nike, Adidas e Puma si arriva a 113,3 miliardi di euro, mentre quello dei 32 club è in totale di 26,3 miliardi. Se però si confrontano i follower su Facebook, le tre aziende arrivano insieme a 67 milioni di persone, mentre le 32 squadre raggiungono quota 589 milioni.
Cifre che consentono di spiegare che cosa può spingere un imprenditore a investire in un'azienda con un valore relativamente piccolo (solo le prime 8 squadre della top 32 superano il miliardo). "C'è una dimensione, a volte, di grande ego. Ma anche la possibilità di creare grandi sinergie con altre realtà in settori dove hai bisogno di avere esposizione", sintetizza Sartori. Se si parlasse di media, insomma, l'identikit da tracciare sarebbe quella dell'editore impuro. Un paragone, in fondo, non così improbabile. "Una società di calcio, per me, si avvicina a una società di entertainment. Crea un prodotto sul campo che la gente compra e consuma", conclude Sartori.
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