Di Jan Pellissier
Milano, 17 apr. (LaPresse) – “Mi scuso per le perdite. Condivido l’amarezza e l’insoddisfazione per l’andamento del titolo, espressa in molti interventi durante questa assemblea. Siamo pronti ad assumerci le responsabilità, ed a incassare anche gli assunti pesanti che si sono sentiti in questa assemblea. Ma non si può dimenticare, pur non cercando noi una giustificazione, che noi abbiamo sempre cercare di mantenere intatto il potenziale dell’azienda per il futuro”. L’ha fornito così direttamente il presidente di Franco Bernabè, il miglior punto della situazione su Telecom Italia, che oggi ha chiuso in rosso a -2,62%. A metà strada tra i troppi debiti e la prospettiva cinese della fusione/acquisizione con Hutchison, che però è ricca di incognite.
Paure che gli azionisti non sembrano avere più, almeno quelli piccoli sentiti oggi in assemblea, dopo aver visto polverizzarsi il valore del titolo da 14 euro a 0,6 euro. I problemi di Telecom oggi hanno radici lontane, e le individua sempre Bernabè: “L’insieme delle operazioni compiute dal 1999 al 2007, e in particolare la fusione Telecom-Olivetti e l’acquisto di minoranza di Tim hanno comportato esborsi per oltre 36 miliardi di euro” ha spiegato Bernabè, cui vanno aggiunti 20 miliardi di dividendi. A fine 2007 quando Tronchetti e gli altri soci lasciarono “Telecom era gravata da 36 miliardi di euro a fronte di un fatturato di 29 miliardi” ha aggiunto.
Un montagna impossibile da scalare solo con la generazione di cassa, ecco quindi che si riparte dalla Cina. L’integrazione delle attività telefonia mobile tra Tim e ‘3 Italia’ “se rappresentata in modo corretto, presenta sinergie industriali che comportano riduzioni di costo in termini di strutture commerciali e di sviluppo delle reti, a cui si aggiungono i benefici di due bacini di clientela complementari”. Il problema è proprio la correttezza dei conti dei cinesi, che però ribadiscono i loro 9,5 milioni di clienti e conti a posto, seppur in perdita. Cosa succederà? “Ci possono essere elementi positivi nel proseguire questa discussione” risponde sibillino Bernabè.
Intanto c’è ancora da smaltire la cessione di La7, che agli azionisti non è piaciuta, ma “è prematuro parlare di incorporazione” di TI Media, dove una volta stava La7. L’altro grande cambiamento approvato dal cda di giovedì scorso è stato lo scorporo con cessione a Cassa depositi e prestiti della rete, che secondo Bernabè “comporterebbe inoltre il vantaggio rappresentato del fatto che le risorse finanziarie apportate da Cdp consentirebbero una significativa accelerazione dei piani di sviluppo delle reti di nuova generazione previsti nel piano industriale”. Una scelta nel solco di una gestione che “in questi anni è quella che meglio ha risposto alle esigenza della società” spiega Bernabè “senza farsi distrarre da scorciatoie di natura finanziarie”.
Ed il bilancio lo dimostra. Il costo del debito di Telecom Italia, circa 28 miliardi, oggi è garantito da derivati per 2,3 miliardi con valore nozionale di 14 miliardi e 260 milioni, con una leva di poco meno di 6 volte. Una leva necessaria a garantire Telecom dalle svalutazioni valutarie, ma soprattutto da un aumento dei tassi d’interessi dei prestiti che coprono il maxi-debito. In tutto sono stati persi 34 milioni finora dai derivati contratti, sul bilancio 2012 questa partita pesa per 6 milioni mentre a livello fiscale si sfiorano i 400 milioni. Non è facile nemmeno districarsi tra le molte regole del mercato tlc, che influiscono direttamente sui bilanci.
“I ricavi di Telecom Italia sono diminuiti del 5,5%, ma oltre metà di questa contrazione va ricondotta a motivazioni di carattere esogeno – ha spiegato l’a.d. Marco Patuano – quali la regolamentazione delle telefonia mobile (terminazione mobili e roaming internazionale, ndr), che da sola spiega una riduzione dei ricavi pari al 2%, e l’effetto dei fallimenti indotti dalla crisi macroeconomica”. Ovvero degli abbonamenti mai pagati che spariscono. Non resta quindi che ripartire, dalla fusione con ‘3 Italia’ e dallo scorporo della rete “importanti opportunità che vanno naturalmente approfondite – conclude Bernabè – progetti di ampio respiro che implicano nuove sfide e nuovi ambiziosi traguardi” ma richiedono “una forte comunione di intenti da parte di tutte le parti coinvolte”.
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