Il martello con cui è stata uccisa Chiara Poggi a Garlasco “non sarebbe chiaramente compatibile” con quello di cui denunciò la scomparsa il padre della vittima, Giuseppe Poggi, il 14 luglio 2008 dopo aver verificato “attentamente” nella propria casa e in garage gli oggetti mancanti. È una frase la cui rilettura torna d’obbligo a 24 ore dalle perquisizioni a tappeto dei carabinieri di Milano nella casa di Andrea Sempio, dei genitori e di 2 amici, disposte dalla Procura di Pavia nella nuova inchiesta sul delitto di Garlasco. Il dragaggio di un canale prosciugato a Tromello, vicino alla casa della nonna delle gemelle Cappa, ha restituito agli inquirenti coordinati dal Procuratore Fabio Napoleone – con l’aggiunto Stefano Civardi e la pm Valentina De Stefano – una serie di attrezzi metallici fra cui un martello ora al vaglio degli investigatori. Che non possa trattarsi di quello sparito da casa Poggi è un dato che le sentenze hanno riconosciuto. A cominciare da quella del 2009 con cui il gup di Vigevano, Stefano Vitelli, ha assolto in primo grado Stasi dall’accusa di omicidio per non aver commesso il fatto. Una sentenza confermata, poi annullata, poi smentita e ribaltata ma la cui ricostruzione del fatto storico avvenuto nella villetta di via Pascoli il 13 agosto 2007 è rimasta valida nei successivi gradi di giudizio.
Tutti i giudici che si sono confrontati con un ‘giallo’ lungo 18 anni hanno ribadito: Chiara è stata uccisa con un “martello da muratore” con una “massa battente da un parte e una specie di lama che termina come uno scalpello dall’altra”. “Lo strumento più probabile”, dissero i consulenti del Tribunale contraddicendo quelli della pm Rosa Muscio che avevano ipotizzato una “forbice da sarto“. Il più probabile perché compatibile con la frattura cranica della 26enne, “isolata” e diversa dalle altre, che presenta una “linea retta che poi si spezza creando una sorta di ‘scalino'”. Lesione che “evoca l’azione di un oggetto che abbia uno spigolo tagliente ed una certa massa, come il bordo di un oggetto con una superficie quadrata con la presenza di spigoli e che può battere obliquamente”.
L’arma e il Dna. Da qui riparte invece venerdì mattina l’incidente probatorio in Tribunale a Pavia per la maxi consulenza genetica sulle tracce di materiale biologico trovato sulle unghie di Chiara Poggi da confrontare con i profili di Sempio, Stasi e di altri uomini della “famiglia” o che “frequentavano abitualmente” la casa di Garlasco, come gli amici del fratello Marco Poggi, Mattia Capra e Roberto Freddi, che con lui giocavano al computer in camera e si presentavano a casa in bicicletta. In uno dei tanti corsi e ricorsi storici della vicenda a gestire la maxi udienza – che si annuncia lunga e articolata, probabilmente alcuni mesi – sarà proprio una delle giudici di Pavia che durante il ‘caso Garlasco’, durato anni nei suoi strascichi giudiziari, si è occupata diffusamente del tema ‘bicicletta’. La gup Daniela Garlaschelli, che conferirà l’incarico ai periti della polizia di stato Denise Albani per la perizia genetica e Domenico Marchigiani per quella dattiloscopica sulle impronte, è la stessa giudice che il 23 settembre 2016 ha condannato per falsa testimonianza a 2 anni e mezzo di reclusione e a risarcire la famiglia Poggi il maresciallo Francesco Marchetto, all’epoca dell’omicidio comandante della stazione di Garlasco, per aver mentito nel primo processo a Stasi. Con le sue dichiarazioni Marchetto avrebbe influito “sulla decisione, deviando il corso dall’obiettivo dell’autentica e genuina verità processuale” e gettato “ombre” sul suo “operato”. Chiamato a deporre in aula il 30 ottobre 2009 il militare affermò di essere stato “fisicamente presente” il 13 agosto 2007, giorno del delitto, in caserma durante la testimonianza di Franca Bermani, madre della vicina di casa dei Poggi che alle 9.10 del mattino aveva notato una “bicicletta nera da donna appoggiata sul muro dell’abitazione di Chiara in prossimità del cancello pedonale”. Disse anche di essersi recato il giorno successivo, assieme al padre di Alberto Stasi (con cui aveva un “legame di conoscenza”), Nicola Stasi, presso la sua officina per visionare una bicicletta. Ma di non averla sequestrata perché a suo dire “non corrispondeva” a quella descritta dalla testimone. Fu smentito sia sulla propria presenza fisica durante il verbale (dalla stessa Bermani e dai suoi colleghi carabinieri) quanto sulla corrispondenza della bicicletta che invece presentava “almeno 4 aspetti di somiglianza” con quella descritta dalla testimone. Marchetto non si accorse delle “contraddizioni” sulla bici riferite agli investigatori da Stasi e dai membri della sua famiglia: l’ex fidanzato di Poggi non l’aveva proprio nominata. I genitori ne confermarono l’esistenza ma collocandola in luoghi differenti. Il mezzo non fu sequestrato, né fotografato o descritto nell’annotazione successiva al sopralluogo. Ritenendo la sua testimonianza attendibile, il gup Vitelli non sequestrò la bici nemmeno nel corso del primo processo, nonostante le pressanti richieste della famiglia Poggi e dell’avvocato Gian Luigi Tizzoni. Richieste accolte solo nel 2014, sette anni dopo i fatti, dalla Procura generale di Milano nelle nuove indagini disposte dopo che la Cassazione aveva annullato l’assoluzione di Stasi per il delitto di Garlasco. “Non è dato conoscere quali siano state le ragioni per le quali scelse deliberatamente di mentire”, ha scritto la gup Garlaschelli nella sentenza di condanna. La stessa giudice che da venerdì si dovrà occupare del dna del nuovo indagato, Andrea Sempio. Che giovedì è apparso nella caserma Montebello dei carabinieri di Milano, accompagnato dalla madre e dall’avvocata Angela Taccia, per alcuni adempimenti burocratici.