Proseguono le indagini sul caso Emanuele De Maria. Il 35enne si è suicidato domenica 11 maggio a Milano mentre era in fuga dalla polizia, ricercato per l’accoltellamento di un 51enne fuori dall’Hotel Berna – dove entrambi lavoravano – e sospettato di aver ucciso anche un’altra dipendente dell’albergo, sparita da venerdì e trovata morta tra le sterpaglie del Parco Nord.
Emanuele De Maria aveva sempre tenuto un comportamento corretto “anche durante i due anni di lavoro” come receptionist all’Hotel Berna presso e “senza che nulla potesse lasciare presagire l’imprevedibile e drammatico esito“. Lo scrivono il presidente della Corte d’appello di Milano, Giuseppe Ondei, e la presidente facente funzioni del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Anna Maria Oddone, in una nota sui “tragici eventi” dell’evasione del 35enne, l’omicidio della collega trovata cadavere al Parco Nord, il tentato omicidio di un altro collega e infine il suicidio gettandosi dal Duomo di Milano domenica.
Corte d’appello e Tribunale stanno valutando se e quali “iniziative potranno essere assunte in ogni sede” dopo la tragedia ma fanno sapere “che il provvedimento emesso dall’Ufficio di Sorveglianza” a De Maria aveva “per oggetto l’approvazione del programma predisposto dall’area trattamentale della Casa di Reclusione di Bollate di ammissione al lavoro all’esterno” come prevede l’articolo 21 della legge sull’ordinamento penitenziario che è “applicabile a tutti i detenuti nel rispetto della normativa ordinaria” con l’obiettivo di provare a “garantire la rieducazione sotto il vigile controllo degli operatori”, concludono Ondei e Oddone.
Emanuele De Maria era “un detenuto che partecipava alle offerte trattamentali. Le valutazioni fatte sono quelle rigorose che hanno consentito a 1.060 persone, a livello nazionale, di poter usufruire all’accesso all’articolo 21 dell’Ordinamento penitenziario, cioè del lavoro esterno, per il quale c’è una bassissima percentuale di revoca”. Lo dice a LaPresse il Garante dei detenuti di Milano, Francesco Maisto, secondo cui ciò che accaduto, cioè l’omicidio-suicidio, non indicherebbe “un problema nell’iter di valutazione” ma sarebbe relativo alla “salute mentale” del detenuto.
In merito alla concessione del lavoro esterno ai carcerati, “si tratta un procedimento complesso che coinvolge il Got (Gruppo Osservazione e Trattamento), il direttore del penitenziario, il datore di lavoro e infine il magistrato, basta leggere la norma per verificarlo”, spiega Maisto. “I numeri e i risultati positivi di reinserimento sociale degli ammessi al lavoro esterno sono significativi di un sistema pluridecennale valido per una strategia diversificata di contrasto della criminalità e quindi utile per tanti: i condannati, l’amministrazione penitenziaria, gli imprenditori”, conclude.
Perché un omicida fosse in permesso “si fa fatica a spiegarlo”. Lo ha detto a Rtl 102.5 il sindaco di Milano, Beppe Sala, rispondendo, rispondendo a una domanda sul Caso di Emanuele De Maria. “Io credo alla rieducazione. In Expo da commissario ho fatto lavorare più di 100 detenuti di Bollate. In questo Caso si fa fatica a capire come una persona condannata nel 2021, è già in condizioni di nuocere. Le leggi sono queste, quindi io ritengo che i giudici le abbiano applicato in maniera corretta, però si fa fatica a spiegarlo”, ha detto Sala.
“Questo Caso – ha aggiunto – farà discutere. È deflagrante perché ci sono stati dei morti, speriamo che sia anche la scintilla per far riflettere su questo tema, ribadendo che a chi va in galera va data un’altra chance, non sono persone perse per sempre”.