Il giovane di 23 anni venne ucciso nel 2016 a martellate e coltellate da Manuel Foffo, condannato a 30 anni di reclusione, e Marco Prato, morto suicida in cella nel giugno del 2017

Sabato 5 marzo 2016 i carabinieri entrano in un appartamento nel quartiere Collatino di proprietà della famiglia Foffo. Sul letto, avvolto in un piumone, trovano il corpo straziato di Luca Varani. Ha ancora un coltello conficcato nel petto e i segni di un centinaio di colpi tra coltellate e martellate.

La lunga agonia

Secondo gli inquirenti sarebbero passate fino a due ore dal primo colpo alla testa, con il quale il giovane è stato stordito dopo esser stato drogato, alla morte del 23enne. Difficile definire con certezza i tempi ma una cosa è sicura: Luca non è morto in tempi rapidi. Secondo il referto dell’autopsia, consegnato in procura, gli assassini del giovane si sono prima accaniti con le martellate su testa e bocca.

Poi, con almeno due coltelli da cucina, hanno massacrato la gola del giovane, aprendola completamente senza però tagli letali. Il corpo presenta almeno trenta ferite, meno profonde, su petto e testa che gli sono state inferte probabilmente solo per vederlo soffrire. La vittima è morta dissanguata, e solo allora gli assassini hanno smesso di infierire sul suo corpo.

I responsabili: “Volevamo uccidere qualcuno”

Volevamo uccidere qualcuno“. Così Manuel Foffo, il trentenne ritenuto responsabile, insieme a Marco Prato, 29 anni, dell’omicidio di Luca Varani ha raccontato la sua versione di quanto accaduto nell’appartamento del quartiere Collatino di Roma. Secondo il racconto, ritenuto attendibile dagli inquirenti, Luca Varani, 23 anni, studente universitario, sarebbe stato ‘scelto’, invitato nella casa dove viveva Foffo, e ucciso, quasi per caso, dopo due giorni passati da Foffo e Prato consumando parte di mille euro di cocaina che avevano acquistato.

La condanna a 30 anni

Trent’anni di reclusione: è la condanna che arriva nel processo con rito abbreviato a carico di Manuel Foffo, reo confesso dell’omicidio di Luca Varani. La decisione è stata presa dal gup Nicola Di Grazia che nella stessa sede ha rinviato a giudizio, con rito ordinario, a partire dal 10 aprile, Marco Prato, l’altra persona imputata per l’assassinio avvenuto la mattina del 4 marzo 2016.

Il suicidio in carcere di Prato

“Non ce la faccio a reggere l’assedio mediatico che ruota attorno a questa vicenda. Io sono innocente”. Con queste parole, scritte su un bigliettino in una cella del carcere di Velletri, Marco Prato, accusato dell’omicidio di Luca Varani, si è tolto la vita. Lo hanno trovato così all’alba del 20 giugno 2017 riverso a terra nel bagno della cella che divideva con un altro detenuto: il viso era chiuso in un sacchetto di plastica, stretto attorno al collo e riempito di gas con uno dei fornelletti dati in dotazione ai detenuti. Nella breve lettera di addio, Prato scrive i motivi per cui ha deciso di farla finita e chiede di fare in modo che ci sia un medico accanto al padre quando gli verrà data la notizia della sua morte. Il giorno seguente sarebbe dovuto tornare in tribunale, per il processo che lo vedeva imputato per l’assassinio.

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