Processo Cucchi, in aula Tedesco chiede scusa e racconta il pestaggio. Conte: “Governo favorevole a ministero della Difesa parte civile”

Schiaffi, pugni, calci in faccia. Il teste imputato, che ha accusato i colleghi, chiede scusa alla famiglia. Il comandante generale dell'Arma dei carabinieri, Giovanni Nistri scrive alla famiglia: "Pronti a costituirci parte civile"

La notte dell'arresto di Stefano Cucchi, il 15 ottobre del 2009, nella caserma della Compagnia Casilina, dopo aver provato a fare il fotosegnalamento, che Cucchi rifiutò, Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro lo aggredirono. La ricostruzione la fa in aula Francesco Tedesco, il vicebrigadiere super teste e imputato nel procedimento in corso davanti alla prima Corte d'assise: "Mentre uscivano dalla sala, Di Bernardo si voltò e colpì Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Poi lo spinse e D'Alessandro diede a Cucchi un forte calcio con la punta del piede all'altezza dell'ano. Nel frattempo io mi ero alzato e avevo detto: 'Basta, finitela, che cazzo fate, non vi permettete'. Ma Di Bernardo proseguì nell'azione spingendo con violenza Cucchi e provocandone una caduta in terra sul bacino, poi sbattè anche la testa. Io sentii un rumore della testa che batteva". "Poi – ha aggiunto il militare – D'Alessandro gli diede un violento calcio all'altezza del volto". 

"Spingendo via prima Di Bernardo e poi D'Alessandro da Cucchi, ho avuto la sensazione che avrebbero continuato a pestarlo. Se non fossi intervenuto stava per partire un altro calcio dopo quello al gluteo e alla faccia. Io sono alto 1.83 e Stefano era molto più basso di me. Lo presi con me sotto braccio, non fece alcuna resistenza. Era come se si sentisse protetto", ha spiegato ancora il carabiniere.

Tutto avviene nel giorno in cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, fa sapere che il ministero della Difesa, oltre all'Arma, è pronto a costituirsi parte civile nell'altro procedimento, quello sui presunti depistaggi messi in atto da alcuni carabinieri per coprire le prove del pestaggio.

Le scuse di Tedesco – "Chiedo scusa alla famiglia Cucchi e agli agenti della polizia penitenziaria imputati nel primo processo. Per me questi 9 anni di silenzio sono stati un muro insormontabile", ha detto ancora in aula. "Non era facile denunciare miei colleghi. Il primo a cui ho raccontato quanto successo è stato il mio avvocato".

"Ero terrorizzato" – "Dire che ebbi paura è poco. Ero letteralmente terrorizzato". ha raccontato Tedesco. "Ero solo contro una sorta di muro. Sono andato nel panico quando mi sono reso conto che era stata fatta sparire la mia annotazione di servizio. Mi sentivo solo, come se non potessi fare nulla. In quei giorni assistetti a una serie di chiamate di alcuni superiori, non so chi fossero, che parlavano con Mandolini. C'era agitazione e mi trattavano come se non esistessi. Questa cosa, unita alla sparizione del verbale, l'ho vissuta come una violenza". 

Le minacce di Mandolini – "'Tu devi seguire la linea dell'Arma se vuoi continuare a fare il carabiniere'. È quanto mi disse Mandolini quando, dopo la morte di Cucchi gli chiesi come dovevamo comportarci se chiamati a testimoniare". ha spiegato Tedeschi. "Ho percepito una minaccia nella sue parole".

"Un peso che non reggevo più" –  "La lettura del capo di imputazione ha inciso sulla mia decisione di parlare – ha detto Tedesco -. : il pestaggio descritto corrispondeva a ciò che avevo visto, quando ho letto che quello e la caduta avevano determinato la morte di Cucchi ho riflettuto e non sono riuscito più a tenere dentro questo peso". 

"Avevo paura – ha detto poco prima Tedesco davanti ai giudici – perché quando il 29 ottobre del 2009 sono stato costretto a non parlare poi mi sentivo in una morsa dalla quale non potevo più uscire. Se avessi parlato allora sarei stato solo contro il mondo". "Ho capito che il muro iniziava a sgretolarsi quando Casamassima ha cominciato a parlare e non mi sono sentito più solo come prima", ha aggiunto.

"Cercavo un contatto con qualcuno… – ha raccontato Tedesco – per questo in udienza guardavo Ilaria che può aver visto questa cosa come una provocazione ma in realtà io mi sentivo solo contro il mondo". 

Sono cinque i carabinieri alla sbarra nel procedimento bis in corso davanti alla prima Corte d'Assise: Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Tedesco, rispondono di omicidio preterintenzionale. Tedesco risponde anche di falso nella compilazione del verbale di arresto di Cucchi e calunnia insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all'epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l'arresto. Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, è accusato di calunnia con gli altri due, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso. 

Altri otto carabinieri sono indagati nel fascicolo sui presunti depistaggi sul caso, e rispondono di reati che vanno dal falso, all'omessa denuncia, la calunnia e il favoreggiamento. Si tratta del generale Alessandro Casarsa, che nel 2009 era alla guida del gruppo Roma, il colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del Reparto operativo della capitale, Massimiliano Labriola Colombo, ex comandante della stazione di Tor Sapienza, dove Cucchi venne portato dopo il pestaggio, Francesco Di Sano, che a Tor Sapienza era in servizio quando arrivò il geometra, Francesco Cavallo all'epoca dei fatti capufficio del comando del Gruppo carabinieri Roma, il maggiore Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Talenti Montesacro, Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del nucleo investigativo, e il carabiniere Luca De Ciani

Mandolini sapeva – Secondo la ricostruzione di Tedesco il maresciallo Roberto Mandolini sapeva fin dall'inizio quanto accaduto perché era stata la prima persona con la quale il vicebrigadiere e D'Alessandro e Di Bernardo avevano parlato. La sera stessa dell'arresto di Cucchi, dopo il pestaggio nella caserma della Compagnia Casilina, i tre portarono il giovane geometra presso la stazione Appia dove Di Bernardo e D'Alessandro parlarono con Mandolini di quanto era successo.

Ilaria Cucchi – Al termine dell'udienza, Ilaria Cucchi ha commentato le dichiarazioni di Tedesco: "Oggi dopo dieci anni di tentati depistaggi quasi riusciti, in quest'aula di giustizia entra la vera storia di quella notte. La sento raccontare dalla viva voce del carabiniere Tedesco, uno dei protagonisti. Guardo in fondo all'aula e incrocio gli sguardi dei miei genitori che ascoltano la descrizione dell'uccisione del loro figlio. Consola, però, il fatto che non siamo più soli: oggi sappiamo che il comando generale dell'Arma si è schierato con la verità". 

Il comandante dell'Arma – Il comandante generale dell'Arma dei carabinieri, Giovanni Nistri, ha infatti scritto una lettera alla famiglia di Cucchi in cui ipotizza di chiedere alla Presidenza del Consiglio l'autorizzazione a costituire l'Arma parte civile nel processo per depistaggio ai suoi militari qualora nella richiesta di rinvio a giudizio appariranno evidenti le circostanze che la vedono parte lesa.

"Gentile Signora Ilaria Cucchi – è l'incipit della lettera pubblicata oggi da La Repubblica – ho letto con grande attenzione la lettera aperta che ha pubblicato sul suo profilo Facebook. Sabato scorso, a Firenze, nel rispondere a una domanda di una giornalista, pensavo a voi e alla vostra sofferenza, che ho richiamato anche nel nostro ultimo incontro. Pensavo alla vostra lunga attesa per conoscere la verità e ottenere giustizia. Mi creda, e se lo ritiene lo dica ai suoi genitori, abbiamo la vostra stessa impazienza che su ogni aspetto della morte di Suo fratello si faccia piena luce e che ci siano infine le condizioni per adottare i conseguenti provvedimenti verso chi ha mancato ai propri doveri e al giuramento di fedeltà".

"Abbiamo la vostra stessa impazienza – prosegue Nistri nella lettera – perché il vostro lutto ci addolora da persone, cittadini, nel mio caso, mi consenta di aggiungere: da padre. Lo abbiamo perché anche noi la stragrande maggioranza dei carabinieri, come lei stessa ha più volte riconosciuto, e di ciò la ringrazio, crediamo nella giustizia e riteniamo doveroso che ogni singola responsabilità nella tragica fine di un giovane vita sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un'aula giudiziaria". "Proprio il rispetto assoluto della legge – argomenta Nistri – ci costringe ad attendere la definizione della vicenda penale. Come vuole la Costituzione, la responsabilità penale è personale. Abbiamo bisogno che sia accertato esattamente, dai giudici, 'chi' ha fatto 'che cosa'". "I tre accusati di omicidio preterintenzionale – scrive ancora il comandante generale – sono già stati sospesi. Non sono stati rimossi, è vero. Ma è pur vero che se ciò fosse avvenuto si sarebbe forse sbagliato. Faccio al riguardo due esempi. Oggi emerge che uno dei tre secondo quanto egli ha dichiarato accusando gli altri due potrebbe essere innocente. Erano innocenti gli agenti della Polizia Penitenziaria che pure erano stati incolpati e portati a giudizio ". "Comprendiamo l'urgenza e la necessità di giustizia, così come lo strazio di dover attendere ancora – precisa – Ma gli ulteriori provvedimenti, che certamente saranno presi, non potranno non tenere conto del compiuto accertamento e del grado di colpevolezza di ciascuno. Ciò vale per il processo in corso alla Corte d'Assise". "Io per primo, e con me i tanti colleghi, oltre centomila, che ogni giorno rischiano la vita – conclude Nistri – soffriamo nel pensare che la nostra uniforme sia indossata da chi commette atti con essa inconciliabili e nell'essere accostati a comportamenti che non ci appartengono. Con sinceri sentimenti".