Foodora, accolto il ricorso dei rider: “Vanno considerati come dipendenti della logistica”

Respinta invece la richiesta di riconoscere la sussistenza del licenziamento discriminatorio

Si abbracciano felici gli ex rider di Foodora che avevano chiesto di essere riconosciuti come dipendenti della società. I giudici della Corte d'Appello di Torino hanno accolto il ricorso dei lavoratori della azienda di food delivery, sancendo il loro diritto ad avere una somma calcolata sulla retribuzione stabilita per dipendenti del contratto collettivo della logistica. Respinta invece la richiesta di riconoscere la sussistenza del licenziamento discriminatorio. L'azienda tedesca inoltre dovrà riconoscere ai cinque fattorini che hanno fatto il ricorso un terzo delle spese di lite.

La corte, ribaltando la sentenza di primo grado, ha riconosciuto "il diritto degli appellanti a vedersi corrispondere quanto maturato in relazione all'attività lavorativa da loro effettivamente prestata in favore di Foodora sulla base della retribuzione diretta, indiretta e differita stabilita per i dipendenti del quinto livello del contratto collettivo logistica-trasporto merci dedotto quanto percepito".

I 5 ex lavoratori Foodora avevano perduto il lavoro a seguito delle proteste scoppiate nell'autunno del 2016 per iniziativa di alcuni rider che chiedevano migliori condizioni di lavoro. Lo scorso aprile il tribunale in primo grado aveva respinto tutti i punti del ricorso dei lavoratori che chiedevano il riconoscimento di lavoro subordinato e denunciavano mancate tutele di sicurezza e violazione della privacy. "Non possiamo non dirci soddisfatti – ha commentato Silvia Druetta, uno degli avvocati degli ex lavoratori Foodora -. La sentenza dimostra che non eravamo dei pazzi quando affermavamo che queste persone avevano dei diritti: è la conferma che i diritti esistono". 

 

La reazione politica. "Evviva! Il processo d'appello ha parzialmente rovesciato il primo grado di giudizio e accolto il ricorso dei fattorini contro Foodora. Finalmente il giudice ha riconosciuto alcune semplici verità: chi è diretto e organizzato da un datore che trae profitto dalla sua fatica, è un lavoratore, a tutti gli effetti subordinato. Altro che lavoretti", lo affermano il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni di Liberi e Uguali e il capogruppo di Leu alla Regione Piemonte, Marco Grimaldi. "Se per aver protestato – proseguono i due esponenti della sinistra – si perde la possibilità di continuare a lavorare significa che si è stati licenziati. Se ciò è avvenuto a causa delle proprie idee sgradite, si tratta di discriminazione e si ha diritto a essere indennizzati". "E questo a prescindere dal fatto che vi sia di fatto un caporalato digitale che fa a meno dei contratti collettivi – concludono Fratoianni e Grimaldi – e paga a cottimo. Un passo alla volta. Ma questo è un passo importante per il riconoscimento dei diritti sacrosanto di persone che nel nome di una falsa modernità di fatto sono e sono stati i nuovi schiavi del 3º Millennio".