Sono venticinque le persone indagate a vario titolo
Continua la caccia a Matteo Messina Denaro, boss di Cosa nostra latitante da 25 anni. L'ultimo atto è un blitz dei carabinieri del Ros e di Trapani contro la rete di fiancheggiatori e favoreggiatori. Sono venticinque le persone indagate a vario titolo. Circa 200 militari sono stati impiegati nell'operazione 'Eris', coordinata dalla Dda di Palermo, per depotenziare i circuiti di riferimento del boss e indebolire le risorse economiche dell'organizzazione. Due degli indagati sono stati arrestati in flagranza durante le perquisizioni effettuate tra abitazioni e negozi di Castelvetrano, Mazara del Vallo, Campobello di Mazara e Custonaci. In loro possesso sono state trovate due pistole, una Baby Browning calibro 635 con caricatore con 5 colpi e un revolver calibro 22 con 20 cartucce, detenute illegalmente. Il blitz ha anche portato al fermo di Matteo Tamburello, esponente di spicco della famiglia di Cosa nostra di Mazara del Vallo e indagato per associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori e violazione degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale.
Al centro delle indagini ci sono i mandamenti mafiosi di Mazara e Castelvetrano "nel cui alveo – spiegano i carabinieri – sono state documentate qualificate interlocuzioni" da parte di Tamburello con Gaspare Como. Quest'ultimo, arrestato ad aprile, oltre a essere reggente del mandamento di Castelvetrano è anche cognato di Messina Denaro. Gli accertamenti hanno permesso di individuare la fase di riorganizzazione degli assetti di vertice del gruppo. Nello specifico, Tamburello, figlio del boss Salvatore morto ad agosto 2017, era stato scarcerato a novembre 2015 dopo avere scontato la pena per avere diretto la famiglia mazarese di Cosa nostra fino al 2006. Sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, aveva trovato lavoro in una cava di calcarenite.
Secondo quanto emerso successivamente, oltre a coordinare le operazioni al sito, Tamburello era socio occulto dell'attività avviata con soldi ottenuti esclusivamente in virtù della autorevolezza (mafiosa) di cui godeva a Mazara del Vallo. Nei suoi programmi c'era inoltre quello di "gestire direttamente" con un imprenditore della zona, sottoposto a perquisizione, i lavori di ampliamento di un impianto eolico a Mazara del Vallo. L'operazione, precisano i militari, "costituiva un vero e proprio programma di infiltrazione mafiosa in uno degli affari più importanti degli ultimi anni sul territorio siciliano e trapanese".