Tragedia di Rigopiano, chiusa l’indagine: rischio processo per 24 persone e una società

Le accuse vanno dall'abuso d'ufficio, falso e abusi edilizi, fino a disastro e omicidio colposi. Il 18 gennaio 2017 una valanga distrusse l'hotel Gran Sasso resort uccidendo 29 persone

"Per negligenza, imperizia, imprudenza e violazione di norme di legge, regolamenti, ordini o discipline", gli indagati nell'inchiesta sull'Hotel Rigopiano hanno, a vario titolo, provocato la tragedia nella quale morirono 29 persone. Lo hanno fatto, secondo la procura di Pescara, dando negli anni autorizzazioni a costruire che non potevano esser date e ritardando le operazioni necessarie ad affrontare l'emergenza neve del gennaio 2017, che precedette il disastro. Il tutto in assenza di una carta di prevenzione delle valanghe che una legge regionale del 1992 aveva richiesto ma non vide mai la luce.

La procura di Pescara ha notificato stamani l'avviso di chiusura delle indagini a 24 persone e una società e tra quelli che rischiano il processo ci sono il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, il presidente della Provincia, Antonio Di Marco, e il direttore del resort Bruno Di Tommaso che è anche amministratore e legale responsabile della società coinvolta, 'Gran Sasso Resort & spa'. Indagato anche l'ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, che insieme ad altri, avrebbe attivato in ritardo le procedure indispensabili per liberare in sicurezza l'albergo prima della valanga. Gli indagati sono perlopiù funzionari e dirigenti amministrativi cui si aggiunge qualche imprenditore. Le accuse, a seconda delle posizioni, vanno dall'abuso d'ufficio, falso, e abusi edilizi, fino al disastro, le lesioni e l'omicidio colposo. Chiesta l'archiviazione per una quindicina di persone tra le quali i tre ex presidenti della Regione Luciano D'Alfonso, Ottaviano Del Turco, e Gianni Chiodi.

La tragedia risale al 18 gennaio 2017 quando una valanga distrusse l'albergo alle pendici del Gran Sasso. Tre i filoni del fascicolo, legati da una parte alla posizione dell'albergo, realizzato, scrivono gli inquirenti, in una zona "esposta a forte pericolo di valanghe", dall'altra all'emergenza neve che nelle 24 ore precedenti alla tragedia non venne affrontata come dovuto.

Da ultimo il nodo della Carta di localizzazione dei pericoli di valanga (CLPV) la cui realizzazione, approvata nel 1992 dalla Regione, non divenne mai effettiva. Su questo punto gli indagati "omettevano – si legge nel documento firmato dal procuratore di Pescara Massimiliano Serpi – ciascuno in relazione alle rispettive funzioni, compiti, mansioni e responsabilità, di attivarsi affinché venisse dato corso, quanto prima, alla redazione e alla realizzazione della Carta". Il giorno prima della tragedia, quaranta persone, tra ospiti e personale dell'albergo, rimasero bloccate a causa della nevicata che rese impraticabili i 9 chilometri e 300 metri dell'unica strada che collegava la struttura al paese di Farindola: spaventate e infreddolite aspettavano da ore i soccorsi quando, poco prima delle 17, la slavina distrusse tutto senza lasciar scampo, intrappolando, e uccidendo. Ventinove le vittime, mentre 11 persone vennero salvate dai soccorritori che lavorarono senza sosta per una settimana tra le macerie coperte di neve e ghiaccio.