Il collegio della Terza Corte d'Appello di Roma ha riconosciuto il reato. Presente in aula la sindaca Raggi
Diciotto anni e quattro mesi e 14 anni di carcere. Queste le pene stabilite rispettivamente per Salvatore Buzzi e Massimo Carminati dai giudici della Terza Corte d'Appello di Roma nel processo al cosiddetto 'mondo di mezzo' che vede imputate 43 persone. Carminati e Buzzi hanno assistito alla lettura della sentenza in video conferenza dalle carceri di Opera (Milano) e Tolmezzo (Udine) dove sono detenuti.
Il collegio della Terza Corte d'Appello di Roma, presieduto da Claudio Tortora ha riconosciuto il reato di associazione di stampo mafioso ipotizzato dalla procura generale nel processo. Il reato non era stato riconosciuto in primo grado. Il processo di primo grado, infatti, si era concluso, il 20 luglio dello scorso anno, con 41 condanne e cinque assoluzioni: i giudici non avevano riconosciuto per nessuno degli imputati l'aggravante dell'associazione mafiosa e Carminati e Buzzi erano stati condannati rispettivamente a 20 e 19 anni di carcere.
"Abbiamo sempre detto che le sentenze vanno rispettate. Lo abbiamo fatto in primo grado e lo faremo anche adesso. La Corte d'appello ha deciso che l'associazione criminale che avevamo portato in giudizio era di stampo mafioso e utilizzava il metodo mafioso. Era una questione di diritto che evidentemente i giudici hanno ritenuto fondata", ha commentato il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini, subito dopo la sentenza. A cui ha partecipato anche la sindaca di Roma, Virginia Raggi, che ha osservato: "Questa sentenza conferma la gravità di come il sodalizio tra imprenditoria criminale e una parte della politica corrotta abbia devastato Roma. Conferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che bisogna tenere la barra dritta sulla legalità. È quello che stiamo facendo e continueremo a fare per questa città e i cittadini".
"Questa sentenza rappresenta per me una sorpresa – ha detto Bruno Naso, legale di Massimo Carminati – L'insussistenza dell'accusa mafiosa nel primo grado, mi sembrava inattaccabile: questo collegio ha invece riconosciuto l'esistenza della mafia. Se persino questa collegio che è uno dei migliori della corte d'appello ha riconosciuto l'aggravante mafiosa, o io dopo 50 anni di attività professionale non capisco più nulla di diritto, e ci può stare, oppure è successo qualcosa di stravagante che ha influito sulla sentenza. In questo Paese la magistratura mette bocca su tutto, e si arroga il compito di moralizzare la società".
Per il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, si è scritta "una pagina nuova della storia della nostra città. Grazie alla Procura di Roma e alle forze di polizia per l'impegno e il lavoro di questi anni. Noi continueremo senza sosta per affermare in ogni ambito la cultura della legalità".
La sentenza era attesa per l'ora di pranzo, nell'aula bunker di Rebibbia. I giudici della Terza Corte di Appello di Roma hanno riconosciuto il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, l'aggravante mafiosa o il concorso esterno nell'associazione mafiosa, a 18 dei 43 imputati. In particolare oltre che per Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, i reati in questione sono stati riconosciuti a vario titolo anche a Claudio Bolla (4 anni e 5 mesi), Riccardo Brugia (11 anni e 4 mesi), Emanuela Bugitti (3 anni e 8 mesi), Claudio Caldarelli (9 anni e 4 mesi), Matteo Calvio (10 anni e 4 mesi), Paolo Di Ninno (6 anni e tre mesi), Agostino Gaglianone (4 anni e 10 mesi), Alessandra Garrone (6 anni e 6 mesi), Luca Gramazio (8 anni e 8 mesi), Carlo Maria Guarany (4 anni e 10 mesi), Roberto e Giovanni Lacopo ( 8 anni e 5 anni e quattro mesi di carcere), Franco Panzironi (8 anni e 4 mesi), Michele Nacamulli (3 anni e 11 mesi), Carlo Pucci (7 anni e 8 mesi) e Franco Testa (9 anni e 4 mesi).
Negli anni, secondo l'accusa, il gruppo capitanato da Massimo Carminati, che in origine aveva stretti legami con la cosiddetta banda della Magliana, sarebbe cresciuto diventando più potente e ampliando il proprio raggio d'azione da banda criminale dedita all'estorsione, a organizzazione impegnata nel controllo di attività economiche, appalti e commesse pubbliche. Dopo il 2011 si sarebbero stretti i legami con Salvatore Buzzi: l'associazione sarebbe ulteriormente cresciuta arrivando a condizionare la politica e la pubblica amministrazione, senza però mai abbandonare la strada originaria, della violenza, dell'estorsione e dell'usura, perché da quella, sostiene l'accusa, trae forza la 'nuova mafia', proprio come quelle 'tradizionali'.
L'imprenditore delle cooperative romane avrebbe scelto l'ex estremista nero come socio per il timore che incuteva il suo nome, per i suoi contatti con la destra romana, e soprattutto per avere un socio, sostiene la procura, sempre pronto al 'lavoro sporco' fatto di minacce, e violenza contro chi non stava ai patti dettati dall'associazione.