I morti dovevano essere tre. È quanto emerge dall'indagine della procura di Vibo Valentia sull'omicidio di Soumaila Sacko, il 29enne del Mali attivista sindacale della Usb ucciso sabato sera. "Ci sparava addosso, prendeva la mira", ha raccontato uno dei due migranti sopravvissuti parlando di Antonio Pontoriero, il 43enne di San Calogero fermato giovedì dai carabinieri che, su decisione del gip Gabriella Lupoli, resta in carcere.
Prima la volontà di uccidere, poi il tentativo di depistare: secondo la ricostruzione del sostituto procuratore Ciro Luca Lotoro, i famigliari dell'italiano avrebbero tentato di costruire una loro concordata versione dei fatti e di orientare la stampa. "Dobbiamo trovare il giornalista giusto", dicono intercettati consapevoli dell'impatto mediatico della vicenda nei giorni della formazione del nuovo Governo. E mentre i fari della politica sono puntati sulla tendopoli di San Ferdinando che ospita i braccianti, a una settimana dai fatti si cerca ancora il movente dell'aggressione.
Avrebbe sparato prendendo la mira, Antonio Pontoriero. A riferirlo ai carabinieri di Tropea è Madhieri Drame, uno dei due sopravvissuti. "Mentre ero con Sacko sul tetto della struttura per smontare alcuni pannelli, ho sentito un colpo di fucile e siamo subito scesi dal tetto", racconta. Drame vede "un uomo a distanza, in posizione sopraelevata, che ci osservava da seduto puntandoci il fucile contro". Pantaloni grigi e maglietta blu scuro: sono gli abiti indossati dal killer e che, poche ore più tardi, incastreranno il 43enne. Drame non fa in tempo ad avvertire l'amico di spostarsi che un colpo di fucile centra Sacko alla testa. Quando il 29enne cade a terra e inizia a perdere sangue, l'assassino "punta il fucile e si sposta per avere una migliore visuale della mia sagoma e per cercare di spararmi contro, colpendomi alla gamba destra". Madou Foune Fofana riesce a schivare i proiettili riparandosi con delle lamiere. Il fucile non è ancora stato ritrovato.
Venerdì la gip Lupoli, pur non convalidando il fermo, ha emesso nei confronti di Pontoriero un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. Lupoli sottolinea "il concreto pericolo di reiterazione, anche con l'uso delle armi tuttora nella disponibilità dell'indagato", oltre che una possibile fuga in Nord Italia, dove il 43enne ha parenti. Dal decreto di fermo emesso dalla procura di Vibo Valentia emergono i tentativi dei familiari dell'italiano di concordare delle versioni in merito all'omicidio e di orientare l'informazione, anche in cambio di denaro. "Dobbiamo trovare il giornalista giusto", "Lo paghiamo!", dicono non sapendo di essere intercettati. In un altro passaggio della conversazione captata emergerebbe la volontà della sorella dell'indagato di "coprire" il fratello non "cantando" nulla: "Io non canto, gli dico che mio fratello è un lavoratore. Di altro ho la facoltà di non rispondere".
La fabbrica dismessa dove Soumaila è stato ucciso è al centro dell'indagine. L'ex fornace si trova sulla Statale 18, in località Tranquilla di contrada Calimera, e dal 2011 è sottoposta a sequestro giudiziario grazie all'inchiesta 'Poison' della Procura di Vibo Valentia che ha portato alla luce un sistema occulto di smaltimento di rifiuti tossici e pericolosi. Qui i migranti recuperano lamiere con cui costruire baracche nella tendopoli di San Ferdinando. Ma non sono i soli a recarsi in quel luogo. Su quell'area la famiglia Pontoriero, si legge nel decreto di fermo, ha un duplice interesse: il primo è di natura territoriale, il secondo di ragione utilitaristica. "Nell'ex fornace – si legge – sono presenti una serie di materiali di costruzioni che, nonostante siano sotto sequestro, diventano una sorta di deposito a disposizione di chi come i Pontoriero sono possessori dei terreni tutto intorno". I carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo Valentia hanno riscontrato come le lamiere e i mattoni presenti nel luogo del delitto siano identici a quelli usati, ad esempio, per costruire i capannoni adiacenti il ristorante 'Spirito di volpe' della sorella di Pontoriero.