Una condanna a 7 anni e 6 mesi di carcere per l'ex presidente della Lombardia Roberto Formigoni. É questa la richiesta avanzata dal sostituto Pg Vincenzo Calia e dal procuratore aggiunto Laura Pedio, che lo affianca nel processo d'appello sul caso Maugeri e San Raffaele. L'ex governatore, che in primo grado è stato condannato a 6 anni, è tra gli imputati per corruzione. Per lui i rappresentati dell'accusa hanno sollecitato "il massimo della pena", ritenendo i fatti che gli vengono contestati "gravissimi" e non meritevoli di alcuna attenuante. " Formigoni si èásottratto costantemente a confronti e interrogatori nel corso delle indagini – ha sottolineato Pedio – non ha reso esame dibattimentale e non ha voluto il confronto coi giudici. Per questo non merita nessuna attenuazione della pena, che anzi deve essere aumentata". Il sostituto pg Calia e il procuratore aggiunto Pedio hanno chiesto anche di condannareáCostantino Passerino, ex direttore amministrativo della Fondazione Maugeri a 7 anni e 7 mesi. In primo grado a Passerino era stata inflitta una pena di 7 anni.
Nel corso di una lunga requisitoria, durata quasi 5 ore, i rappresentanti dell'accusa hanno ripercorso tutti i passaggi salienti dell'inchiesta sulácrac del San Raffaele eásuládissesto della Fondazione Maugeri e hanno rilevato come per un decennio, tra il 2001 e il 2011, siano stati versati "70 milioni dalla Fondazione Maugeri e circa 8-9 milioni dal San Raffaele" a fronte di versamenti effettuati da Regione Lombardia, in qualità di rimborsi per norme come la legge non profit, per "oltre 100 milioni". A fare da intermediario, per l'accusa, ci pensava l'imprenditoreáPierangelo Daccò, fedelissimo di Formigoni, che nel corso della scorsa udienza è uscito dal processoápatteggiando una condanna a 2 anni e 7 mesi di reclusioneáche, in continuazione con i 9 anni definitivi per il crac dell'ospedale fondato da don Verzé hanno portato ad una totale di 11 anni e 7 mesi. Anche l'ex assessore alla Sanità lombardo Antonio Simone ha patteggiato una condanna a 4 anni e 8 mesi.
Per l'accusa, Formigoni avrebbe ricevuto in tutto dalla fondazione di Pavia benefit per "6,6 milioni di euro per compiere atti contrari al suo ufficio. Per un pubblico ufficiale – ha ribadito il procuratore aggiunto Pedio – è un fatto gradissimo".
Il sostituto procuratore Pedio ha ricordato in aula come, tra gli altri beni messi a disposizione di Formigoni da Daccò, ci fossero viaggi di lusso, cene in ristoranti prestigiosi, come Sadler, dove "Formigoni non pagava mai". Senza contare che Formigoni stesso e il commercialista Alberto Perego, anche lui ciellino come l'ex governatore lombardo e residente come lui nella casa dei 'Memores Domini, i personaggi di spicco dell'organizzazione religiosa, avevano "l'uso esclusivo" del panfilo 'Ad Maiora', intestato a Dacca, e ormeggiato a Rapallo. "Gli arredi erano stati scelti da Perego – ha spiegato l'accusa – e loro lasciavano a bordo i loro effetti personali nelle rispettive cabine". La barca veniva utilizzata nel periodo di Pasqua e in quello estivo. Daccò provvedeva anche alle spese "per l'equipaggio, che era sempre lo stesso, a tutte le vettovaglie e alla benzina. Abbiamo sentito i marinai, che ricordavano di casse di champagne che arrivavano a bordo, perché lo champagne era la bevanda preferita del presidente".
Un ampio passaggio della requisitoria è stato dedicato anche alla villa ad Arzachena, in Sardegna, venduta da Daccò ad Alberto Perego nell'ottobre del 2011 per 1,5 milioni di euro, un "prezzo assolutamente inferiore a quello di mercato". Anche in questo caso "è stato Perego a scegliere gli arredi" della lussuosa villa di 13 stanze, che "ha subito importanti lavori di ristrutturazione" prima che nell'estate del 2009 e in quella del 2010 venisse utilizzata da Formigoni, Perego e dai loro amici, che però non ne erano ancora formalmente proprietari. "Daccò si era accollato tutte le spese della villa", ha spiegato Pedio, sottolineando che da parte dell'ex governatore e del commercialista era sorta "la necessità di acquistarla per metterla al sicuro" dopo che tutti i beni di Daccò, già indagato nelle inchieste della Sanitopoli lombarda, erano stati sequestrati. Nel pomeriggio la parola passerà alle parti civili. Si tornerà in aula il 29 maggio.