Peppino Impastato, 40 anni fa moriva il giornalista simbolo della lotta alla mafia

Sfidava il boss di Cinisi con i suoi monologhi satirici feroci su Radio Aut. E per questo fu messo a tacere per sempre

Il 9 maggio 1978 è una di quelle date che non si possono cancellare dalla memoria collettiva, nonostante i quarant'anni ormai trascorsi e le difficoltà dell'attualità che monopolizzano l'attenzione. Il 9 maggio 1978 fu ritrovato in una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani, il corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Br dopo 55 giorni di rapimento. Ma non solo. È anche il giorno in cui viene ucciso Peppino Impastato, giornalista e attivista, simbolo della lotta alla mafia in un periodo in cui si faceva difficoltà persino a chiamarla col suo nome, quanto ancora oggi.

Impastato ha sfidato il boss di Cinisi, Gaetano Badalamenti, nelle sue trasmissioni di Radio Aut con monologhi satirici feroci e attacchi che gli sono costati la vita. Ma la sua lotta a Cosa Nostra è cominciata ben prima, una ribellione contro la sua stessa famiglia, ben inserita negli ambienti mafiosi locali. Nel 1965, a 17 anni, aderisce al Psiup, Partito socialista italiano di unità proletaria, poi partecipa alle lotte studentesche e aderisce al gruppo del 'Manifesto'. Nel 1976 fonda Radio Aut con un gruppo di compagni. Tra i suoi obiettivi principali Badalamenti, a cui non risparmia duri attacchi nonostante le minacce ricevute.

Si candida alle elezioni comunali del 1978 nella lista di Democrazia proletaria, ma poco prima del voto viene trovato morto, ucciso da una carica di tritolo messa sui binari. L'agguato viene preparato per farlo sembrare un attentato terroristico di Impastato stesso o un suicidio, ma i compagni di lotta denunciano da subito l'omicidio, accertato dalla giustizia solo anni dopo, accuse di depistaggio e numerosi appelli per la riapertura dell'inchiesta, archiviata nel 1992. Grazie alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Salvatore Palazzolo, arriva la conferma della matrice mafiosa del delitto e che i mandanti dell'omicidio sono Gaetano Badalamenti e il suo vice Vito Palazzolo. Quest'ultimo viene condannato a trent'anni nel 2001, Badalamenti all'ergastolo nel 2002.