Orfini: La mafia a Roma è radicata. Raggi: Politica sotto scacco

In risposta alla sentenza Mafia Capitale che ha fatto cadere l'accusa di associazione di stampo mafioso

"Possiamo reagire in tanti modi alla sentenza di ieri, tutti ovviamente comprensibili e legittimi. Ma il più sbagliato è quello forse più diffuso in queste ore: sostenere che si dovrebbe chiedere scusa a Roma perché Roma non è una città mafiosa. Lo dico da romano innamorato della mia città: a Roma la mafia c'è. Ed è forte e radicata". Matteo Orfini, presidente Pd e per anni commissario dem della Capitale, non ha dubbi.

Il giorno dopo la sentenza della corte d'assise di Roma che ha elargito pesanti condanne nei confronti degli esponenti del 'mondo di mezzo' ma non riconosciuto l'accusa di associazione mafiosa, Roma non si è svegliata improvvisamente 'liberata' dai clan. Anzi. "Basta fare una passeggiata in centro e contare i ristoranti sequestrati perché controllati dalla mafia. Basta passeggiare nei tanti quartieri in cui le piazze di spaccio sono gestite professionalmente, con tanto di vedette sui tetti e controllo militare del territorio. Basta spingersi a Ostia e seguire le attività degli Spada, o andare dall'altra parte della città dove regnano i Casamonica. Basta leggere le cronache per trovare la mafia ovunque", sottolinea. Non "affidarsi a tesi di comodo", quindi. Piuttosto "reagire e combattere", perché Roma "non è stata umiliata da chi indaga", ma "da chi l'ha soggiogata. E da chi non ha saputo impedirlo".

Il presidente Pd non è l'unico a pensarla così. "Le infiltrazioni ci sono. Sono denunciate e conosciute", sentenzia il governatore del Lazio Nicola Zingaretti. "Le sentenze si applicano, non si commentano e se ne prende atto. Però nessuno si permetta di fare confusione e trasformare una sentenza su un'associazione, o su un caso, in un colpo di spugna sul rischio, sul pericolo, sulla presenza di infiltrazioni mafiose nella nostra città che ci sono e vanno sempre combattute", aggiunge.

Anche la presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi non nasconde le sue perplessità. La sentenza, mette nero su bianco, "non sconfessa il lavoro meritorio della Procura di Roma, che ha scoperchiato un sistema criminale che ha tenuto in ostaggio per anni l'amministrazione capitolina". In attesa di leggere "con attenzione" le motivazioni dei magistrati romani la deputata Pd lancia il suo personale avvertimento: "Non vorremmo – sottolinea – si tornasse a pensare che oggi le mafie sono ancora solamente Cosa Nostra, la 'Ndrangheta e la Camorra, con l'aggiunta di qualche organizzazione nigeriana, albanese o cinese. Sarebbe un errore grave, che tra l'altro impedisce di vedere l'evoluzione dei sistemi criminali, la loro adattabilità e il mimetismo con cui sanno stare nel nostro tempo".

E se Virginia Raggi ribadisce che la sentenza "ha comunque accertato è che c'è stato un pesantissimo e intricatissimo sistema che per anni ha tenuto sotto scacco la politica" e che "l'unica strada" da prendere rimane "quella della legalità", il suo predecessore Ignazio Marino parla chiaro: "Senza Mafia capitale e l'inchiesta sugli scontrini io sarei ancora in Campidoglio. Contro di me ci fu una convergenza opaca di interessi. Non so se qualcuno abbia voluto o tentato di condizionare la magistratura. Ma so che i giudici non sono condizionabili", dice.