Nell'ultimo anno l'allarme demografico ha raggiunto il suo apice: diminuisce la popolazione (nel 2015 le nascite sono state 485.780, il minimo storico dall'Unità d'Italia a oggi), la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna, gli anziani rappresentano il 22% della popolazione e i minori il 16,5%. Senza giovani né bambini, il nostro viene percepito come un Paese senza futuro. Lo evidenzia il 50esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2016. Secondo il dossier lo testimonia anche il boom delle cancellazioni dall'anagrafe di italiani trasferitisi all'estero, che nel 2015 sono stati 102.259: una cifra praticamente raddoppiata negli ultimi quattro anni e che ha avuto una crescita del 15,1% solo nell'ultimo anno. In un Paese in cui la piramide generazionale si è rovesciata, gli stranieri rappresentano un importante serbatoio di energie. Dal 2001 a oggi la popolazione è aumentata del 6,5%, raggiungendo gli attuali 60.666.000 abitanti: ma questa crescita è stata tutta determinata dalla componente straniera, che è quasi triplicata negli ultimi quindici anni (+274,7%).
SE NON CI FOSSERO. Immaginare un'Italia senza stranieri vorrebbe dire pensare a un Paese con oltre 2,5 milioni di minori e under 35 in meno. Se accanto ai dati del bilancio demografico si analizzano le previsioni sull'andamento futuro della popolazione, emerge che nel 2030 avremo una popolazione di 61.605.000 individui, in aumento dell'1,5% rispetto a oggi. Tale crescita sarà però l'effetto di una diminuzione dei cittadini italiani del 5,6%, per cui nel 2030 saremo complessivamente 52,5 milioni, e di una crescita dell'81,1% dei cittadini stranieri, che diventeranno oltre 9 milioni, vale a dire il 14,8% dell'intera popolazione. Tra questi, i minori stranieri saranno quasi 2 milioni e rappresenteranno il 21,6% del totale dei minori. Il quadro previsionale vede una diminuzione degli under 18 (-10% nei dieci anni considerati), una tenuta dei millennials (+0,7%), una riduzione degli individui di età compresa tra i 35 e i 64 anni (-3,9%), e una crescita del contingente più anziano (+21,6%). In altre parole, l'effetto combinato del prolungamento della vita media e dell'omologazione dei comportamenti demografici degli stranieri a quelli degli italiani, se non affrontato da politiche di sviluppo e di disincentivo della "fuga altrove", potrebbe determinare, anche nel futuro, una situazione di ristagno per il nostro Paese.
STOP INVESTIMENTI. L'Italia sta vivendo una "prolungata e infeconda sospensione, dove le manovre pensate in affannata successione non hanno portato i risultati attesi". Secondo il Censis è nata una "seconda era del sommerso", che punta, dal risparmio cash alla sharing economy, alla "ricerca di più redditi". Fenomeno diverso da quella degli anni '70 che apriva a "una saga di sviluppo industriale e imprenditoriale" perché si tratta di una "arma di pura difesa".
ISTITUZIONI DEBOLI. Una societa' che si regge da se', senza contare piu' su istituzioni indebolite, e che diventa cosi' terreno fertile per il populismo. E' l'Italia descritta dal Rapporto Censis. Un'Italia in cui "il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta", mentre "il mondo politico si arrocca sulla necessita' di un rilancio dell'etica e della moralita' pubblica" e "le istituzioni sono inermi (perche' vuote o occupate da altri poteri), incapaci di svolgere il loro ruolo di cerniera. Si afferma cosi' un inedito parallelo 'rintanamento chez soi': il mondo politico e il corpo sociale coltivano ambizioni solo rimirandosi in se stessi". Questa virata autoreferenziale crea una cappa di incomunicabilita', in cui "la politica riafferma orgogliosamente il suo primato progettuale e decisionale, mentre il corpo sociale rafforza la sua orgogliosa autonomia nel 'reggersi'. Sono destinati cosi' a una congiunta alimentazione del populismo". Per spezzare questa dinamica, segnala il Censis, "e' tempo per il mondo politico e il corpo sociale di dare con coraggio un nuovo ruolo alle troppo mortificate istituzioni".
SOMMERSO POST TERZIARIO. Sono tre i processi che secondo il Censis attraversano l'Italia oggi. In primo luogo, "la societa' continua a funzionare nel quotidiano. Non come scettica passivita' dell'abitudine, ma come primato dell'impegno quotidiano dei soggetti economici e sociali". Insomma, ciascuno bada agli affari propri: le imprese operano nei contesti di filiera, le famiglie coltivano i loro risparmi e i loro patrimoni, il territorio funziona da fattore dello sviluppo, il welfare cerca una faticosa quadratura per la soddisfazione dei bisogni sociali. In secondo luogo, "la societa' rumina e metabolizza gli input esterni, volta per volta rimuovendoli o assimilandoli". E questo "vale per il flusso crescente di migranti e la loro faticosa integrazione; per il processo di digitalizzazione (che mette in crisi l'intermediazione burocratica del ceto impiegatizio che su tale prassi aveva costruito potere e identita'); per la faticosa affermazione legislativa e giurisprudenziale dei diritti individuali". In terzo luogo, "la societa' cicatrizza le ferite piu' profonde", come la Brexit, "che appare come una crisi radicale sulla strada di una compatta identita' europea", o il terremoto con il suo corollario di rischi per l'economia delle aree interne. E qui il Censis vede una "pericolosa faglia che si va instaurando tra mondo del potere politico e corpo sociale, che vanno ognuno per proprio conto, con reciproci processi di rancorosa delegittimazione".
Questa Italia in ripiegamento e' entrata in una "seconda era del sommerso", che il Censis definisce "sommerso post-terziario", un "sommerso di redditi che prolifera nella gestione del risparmio cash ('per non andare in banca'), nelle strategie di valorizzazione del patrimonio immobiliare (casolari rurali, appartamenti urbani, attici panoramici trasformati in case per vacanza, bed and breakfast o location per eventi), nel settore dei servizi alla persona (dalle badanti alle babysitter, alle lezioni private), nei servizi di 'mobilita' condivisa' e di recapito, e altro ancora. E proliferano cosi' – osserva il Censis – figure lavorative labili e provvisorie, soprattutto tra i giovani che vivono nella frontiera paludosa tra formazione e lavoro.
ESPLODE IL POPULISMO. Questo sommerso e' "un magma di soggetti, interessi e comportamenti, una 'macchina molecolare', una esplosione di molteplicita' monadiche. Il corpo sociale finisce cosi' per assicurarsi la sua primordiale funzione, quella di 'reggersi', anche senza disporre di strutture portanti politiche o istituzionali". Perche' "le istituzioni (per crisi della propria consistenza, anche valoriale) non riescono piu' a 'fare cerniera' tra dinamica politica e dinamica sociale, di conseguenza vanno verso un progressivo rinserramento. Delle tre componenti di una societa' moderna (corpo sociale, istituzioni, potere politico) sono proprio le istituzioni a essere oggi piu' profondamente in crisi", secondo il Censis. In Italia, tuttavia, rileva il Rapporto, "non hanno preso quota forti ondate di populismo neo-nazionalista, anche se ci sono robuste minoranze di arrabbiati". Infatti, "l'uscita dall'Unione europea trova contrario il 67% dei cittadini, ma con un sostanzioso 22,6% di favorevoli e un 10,4% di indecisi. Il ritorno alla lira e' contrastato dal 61,3% degli italiani, ma i favorevoli sono il 28,7% e gli indecisi il 10%. Contrario alla rottura del patto di Schengen e alla chiusura delle frontiere e' il 60,4% dei cittadini, il 30,6% e' favorevole e gli indecisi sono il 9%". Ma "l'89,4% degli italiani esprime una opinione negativa sui politici, appena il 4,1% positiva". E ancora, "sono solo il 22% del totale gli italiani che dichiarano di fidarsi delle istituzioni locali, contro una media europea del 47%, con punte del 71% in Germania. La fiducia nei soggetti del governo centrale e' del 16% (31% la media europea e 50% in Germania)". Questa debacle della credibilita' riguarda "tutti i soggetti intermedi tradizionali: solo l'1,5% degli italiani ha fiducia nelle banche, l'1,6% nei partiti politici, il 6,6% nei sindacati". Una sfiducia che si estende anche a chi ha lasciato l'Italia: il 52,3% degli emigrati considera il Paese pieno di risorse ma penalizzato dalla sua classe politica. E l'81,7% di quanti si sono trasferiti in un'altra nazione sono soddisfatti della loro scelta, mentre il 62,7% considerano stabile la propria permanenza all'estero.
52% RAGAZZI BULLIZZATI. Il 52,7% degli 11-17enni nel corso dell'anno ha subito comportamenti offensivi, non riguardosi o violenti da parte dei coetanei. La percentuale sale al 55,6% tra le femmine e al 53,3% tra i ragazzi più giovani, di 11-13 anni. Quasi un ragazzo su cinque (19,8%) è oggetto di questo tipo di soprusi almeno una volta al mese, eventualità più ricorrente tra i giovanissimi (22,5%). Su internet sono le ragazze a essere oggetto in misura maggiore degli attacchi dei coetanei cybernauti (24,9%). Il 47,5% degli oltre 1.800 dirigenti scolastici interpellati dal Censis indica i luoghi di aggregazione giovanile come quelli in cui si verificano più frequentemente episodi di bullismo, poi il tragitto casa-scuola (34,6%) e le scuole (24,4%). Ma è in internet che il bullismo trova ormai terreno fertile, secondo il 76,6%. Nel corso della propria carriera il 75,8% dei dirigenti scolastici si è trovato a gestire più casi di bullismo: il 65,1% di bullismo tradizionale e il 52,8% di cyberbullismo. Per l'80,7% dei dirigenti, quando i loro figli sono coinvolti in episodi di bullismo, i genitori tendono a minimizzare, qualificandoli come scherzi tra ragazzi, e solo l'11,8% segnala atteggiamenti collaborativi da parte delle famiglie, attraverso la richiesta di aiuto della scuola e degli insegnanti. Il 51,8% dei dirigenti ha organizzato incontri sulle insidie di internet con i genitori, avvalendosi prevalentemente del supporto delle Forze dell'ordine (69,4%) e di psicologi o operatori delle Asl (49,9%). All'attivismo delle scuole non ha corrisposto però un'equivalente partecipazione delle famiglie, che è stata bassa nel 58,9% dei casi, media nel 36% e alta solo in un marginale 5,2% di scuole.
In Italia non hanno preso quota forti ondate di populismo neonazionalista, come accaduto in altri Paesi, tuttavia un'increspatura nella 'fede' europeista è percepibile, visto che l'uscita dall'Unione trova contrario il 67% degli italiani ma favorevole un sostanzioso 22,6% e un 10,4% di indecisi. Più o meno quanto emergeva nel Regno Unito dai sondaggi prima del referendum che poi ha portato alla Brexit. E' quanto emerge da un sondaggio del Censis effettuato nel 2016 e contenuto nel 50.mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Percentuale ancora più alta quella di chi è favorevole al ritorno alla lira (28,7%) contro il 61,3% di contrari e un 10% di indecisi. E saliamo ancora se consideriamo chi è favorevole alla rottura del patto di Schengen e alla chiusura delle frontiere italiane (30,6%) che vede contrario il 60,4% e indeciso il 9%