Al via Salone Gusto. Come arrivano cibi a Torino? Difficoltà e norme

I casi del miele di melipona e del formaggio a latte crudo, protagonisti di curiose vicissitudini

 Al via oggi Terra Madre Salone del Gusto a Torino. Il più grande evento internazionale dedicato al cibo e alla gastronomia, arrivato alla ventesima edizione, prevede la presenza di un enorme mercato con espositori dai cinque continenti e presidi Slow Food, ma anche tanti eventi per scoprire le specialità gastronomiche, conferenze stampa e proiezioni cinematografiche. Sono tante le novità di questa edizione che si è aperta alle 10 di stamattina e il cui nastro è stato ufficialmente tagliato alle 15 dal ministro Dario Franceschini. La prima è proprio l'unione di Salone del Gusto e Terra Madre, il cui nome compare in testa. I due eventi si sono fusi in un'unica manifestazione che per la prima volta sarà totalmente gratuita, senza biglietto e, invece che chiusa all'interno di una struttura, dislocata per le strade della città. Fulcro dell'evento il Parco del Valentino, cuore verde di Torino.

IL VIAGGIO DEL CIBO. Nell'era degli acquisti su internet e delle spedizioni intercontinentali, far arrivare a Torino i prodotti che animano il mercato di Terra Madre Salone del Gusto può sembrare piuttosto semplice: si tratta, in fondo, di impacchettare miele, fonio, bulgur e molto altro e spedire tutto in Italia. Ma se questo può essere l'iter per i produttori dell'Unione Europea, non si può dire altrettanto per i prodotti che provengono da Comunità del cibo e Presìdi extraeuropei. Il loro viaggio è molto più complicato e deve rispettare rigide regole e controlli. "Quest'anno sono stati due prodotti senegalesi i primi a decollare alla volta di Torino: il Presidio del cuscus salato di miglio dell'isola di Fadiouth e il fonio di Tambacounda e Kolda coltivato da una Comunità del cibo, grazie alla preziosa collaborazione del referente locale di Slow Food, Hady Diop. In tutto sono arrivati a Torino circa 200 prodotti", racconta Alessandra Turco, responsabile di questo settore all'interno della Fondazione Slow Food per la Biodiversità.

Si tratta di cibi noti e meno noti, alcuni a Torino per la prima volta, che possono essere scoperti e assaggiati nelle bancarelle del Mercato internazionale e nelle Cucine di Terra Madre, preparati secondo ricette tradizionali dalle mani esperte dei delegati. "I problemi delle spedizioni sono davvero tanti – continua Alessandra -, per far sì che i prodotti arrivino a destinazione, è fondamentale la collaborazione con la rete Slow Food locale, che svolge un'intermediazione basilare sotto molti punti di vista, primo fra tutti la lingua: per esempio, non possiamo aspettarci che tutti gli allevatori kenioti conoscano l'inglese, abbiamo bisogno di qualcuno parli swahili".

OSTOCOLO DOCUMENTAZIONE. Il primo ostacolo da superare è rappresentato dalla documentazione: "un esempio banale è la fattura, indispensabile per far entrare qualunque merce in territorio italiano. Molti produttori non hanno idea di cosa si tratti e ci mandano semplicemente un foglietto che riporta il prezzo", spiegano da Slow Food. Un altro documento necessario è il certificato d'origine, che indica il luogo di produzione di un alimento, ma non è familiare a tutti. Ad esempio, non lo è ai giovani allevatori di api native di Rio Grande do Norte o ai produttori di frutta secca del Kotayk. Spesso è necessario contattare direttamente la Camera di Commercio del Paese in questione, ma non è sempre facile, neppure con l'aiuto dei referenti in loco. Una volta ottenuta la documentazione per l'importazione, la strada verso Torino si fa un po' più breve ma mancano ancora informazioni fondamentali per passare la dogana in tutta sicurezza. Stiamo parlando dell'etichettatura: la legge europea in materia è piuttosto precisa e restrittiva, allergeni e ingredienti sono solo alcuni dei dati che un'etichetta legale deve contenere, "ma chiedere queste informazioni ai nostri delegati spesso è come chiedere una ricetta alla nonna, ti dirà che ha messo un po' di questo e un po' di quello, non quantità precise", aggiunge Turco. E a volte non sono indicati neppure gli ingredienti esatti.

Non è sempre semplice ottenere questi certificati per chi non ha dimestichezza con le regole del commercio internazionale: i produttori di piccola scala che arrivano a Torino, infatti, normalmente vendono sul mercato locale e si occupano di tutto in prima persona; non hanno certo un responsabile esportazioni. Per alcuni prodotti per esempio si procede importando con largo anticipo un campione che viene poi consegnato all'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta e al Laboratorio Chimico della Camera di Commercio di Torino per le dovute analisi. Se sono conformi alla legislazione nazionale ed europea sull'igiene e la sicurezza alimentare, i risultati delle analisi sono spediti a Roma al Ministero della Salute e si richiede una deroga, grazie alla quale è possibile importare le quantità desiderate del prodotto in questione. Superata la dogana, i prodotti sono controllati dall'Asl di Torino nei giorni precedenti all'evento, per poter essere venduti in totale sicurezza ai visitatori. Tutto ciò che non viene venduto deve essere distrutto, perché la deroga alla vendita vale solo nei giorni dell'evento.

I CASI PIU' COMPLICATI. Interessanti i casi del miele di melipona e del formaggio a latte crudo, protagonisti di curiose vicissitudini. "L'Unione Europea considera mieli solo quelli fatti da Ape europea (Apis mellifera) ma in Africa, Asia e America Latina esiste anche la famiglia delle melipone, minuscole api senza pungiglione che producono un miele liquido, aromatico, usato come dolcificante e nella medicina naturale. Per poter vendere questi mieli è necessario cambiare nome: non miele, ma 'crema spalmabile di apicoltura nativa'", precisa ancora Slow Food. I formaggi a latte crudo invece si possono importare soltanto dall'Unione europea e da un gruppo ristretto di altri Paesi. Per poter presentare i prodotti caseari di altre realtà, si ricorre a soluzioni fantasiose. Ad esempio i produttori di Capo Verde ed Egitto raggiungono l'Italia qualche giorno prima e producono i loro formaggi in alcune aziende piemontesi che mettono a disposizione materie prime e personale (l'azienda agricola Cascina Rosa di Cantalupa e il Caseificio Moris di Caraglio). Queste versioni dei loro formaggi danno però la possibilità ai visitatori di conoscere tecniche e prodotti che non potrebbero raggiungere l'Italia in nessun altro modo. Infine, ci sono prodotti che non possono arrivare a Torino per via delle situazioni politiche dei loro Paesi: è il caso dei datteri delle oasi libiche, varietà meravigliose che nelle scorse edizioni avevano riscosso un grande successo. L'uvetta abjosh di Herat (Afganistan), invece, arriva su un aereo militare, grazie alla collaborazione del Ministero della Difesa, dell'Esercito Italiano e del Comando Operativo di vertice Interforze (COI).