Yara, attesa per la sentenza: Bossetti parla in aula

Il muratore di Mapello farà dichiarazioni spontanee, poi la decisione della Corte d'Assise di Bergamo

Massimo Bossetti prova ancora una volta a spiegare ai giudici della Corte d'Assise di Bergamo perché non c'entra nulla con la morte di Yara Gambirasio. Il carpentiere di Mapello, arrestato nel giugno del 2014, oggi prende la parola nell'aula del processo a suo carico per fare dichiarazioni spontanee, prima che i giudici si ritirino in camera di Consiglio per emettere il verdetto. Bossetti ha anche testimoniato nel processo e ha "gridato" la sua innocenza. Nonostante gli investigatori, la pm Letizia Ruggeri, gli avvocati di parte civile, gli abbiano chiesto più volte di confessare, lui ha sempre negato ogni coinvolgimento nella morte della ragazzina, scomparsa da Brembate di Sopra il 16 novembre 2010 e ritrovata cadavere tre mesi dopo in un campo di Chignolo d'Isola.

LE RICHIESTE DEL PM. Il pm Letizia Ruggeri, nonostante non sia stato possibile individuare la dinamica e il movente dell'omicidio della 13enne, è persuasa che esista "la prova" decisiva contro Bossetti: il suo Dna sul corpo della vittima, a cui si aggiunge "un corollario di indizi gravi, precisi e concordanti" come i tabulati telefonici, le immagini del suo camioncino nelle telecamere di sorveglianza, le fibre di tessuto sul corpo della vittima, riconducibili al suo furgone. Per questo la rappresentante della pubblica accusa ha chiesto per Bossetti una condanna all'ergastolo con 6 mesi di isolamento diurno. L'omicidio di Yara è un delitto "doloso e pluriaggravato", secondo la pm Ruggeri, che ha invocato anche l'aggravante della crudeltà. "Si è voluto infliggere particolare dolore – ha ricordato – e ci si è riusciti: non vi è dubbio che l'omicidio sia volontario perché abbandonando Yara in quel campo si è causata volontariamente la morte". Bossetti, inoltre, ha dimostrato una "totale incapacità di autocontrollo", che lo ha spinto a scrivere lettere hard ad un'altra detenuta del carcere di Bergamo, Gina, che richiamano le ricerche ad alto tasso erotico effettuate sui pc di casa Bossetti "su ragazzine tredicenni" e argomenti a "sfondo sessuale".

LA DIFESA: DUBBI ANCHE SUL DNA. I legali di Bossetti, Paolo Camporini e Claudio Salvagni, hanno puntato tutto sui dubbi a cui l'accusa non ha saputo dare risposte. In particolare, i legali hanno cercato di evidenziare errori e imprecisioni negli accertamenti effettuati dal Ris di Parma sugli abiti e sul corpo di Yara, che hanno permesso di isolare nel giugno del 2011 il Dna di "Ignoto 1". Solo nel settembre dell'anno successivo, gli investigatori sono arrivati alla "pista Gorno". Da una marca da bollo su una vecchia patente dell'autista di autobus Giuseppe Guarinoni, infatti, è stato estratto il Dna. L'impronta genetica dell'autista di autobus, morto nel 1999, è risultata simile a quella di "Ignoto1", ma il Dna non coincideva con quello dei due figli. Da qui l'ipotesi che Guerinoni avesse avuto un terzo figlio fuori dal matrimonio. Soltanto nel giugno 2014, però, gli investigatori hanno prelevato il Dna a Bossetti, con il trucco di un falso controllo con l'etilometro, e lo hanno comparato con la traccia di Ignoto 1. A lui sono arrivati tramite la mamma, Ester Arzufi, che per l'accusa aveva una relazione con Guerinoni.

Per i legali di Bossetti, però ci sono state troppe "anomalie" nelle analisi effettuate dai carabinieri del Ris di Parma, tali da invalidare il risultato finale. Primo tra tutti il fatto che sono stati utilizzati "kit scaduti", quindi "da cestinare". Senza contare che Bossetti non rispecchia per nulla il profilo del predatore sessuale, come vorrebbe far credere l'accusa.

Tante, troppe discrepanze, dunque. Impossibile in questa situazione, per i difensori, condannare Bossetti all'ergastolo, che in realtà sarebbe "una pena di morte mascherata", come l'ha definita anche Papa Francesco.

Oggi si dovrebbe conosce la decisione della Corte presieduta da Antonella Bertoja.

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