Eternit, Consulta decide sul processo bis per omicidio volontario

Nuovo capitolo della battaglia contro le morti per amianto

Nuovo capitolo della battaglia contro le morti per amianto. Questa mattina la Corte Costituzionale è chiamata a pronunciarsi sulla possibilità che il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, unico ex proprietario della multinazionale Eternit ancora in vita, possa essere processato. Pronuncia necessaria in vista di un eventuale 'Eternit bis', dopo l'annullamento della condanna in Cassazione dell'esito del primo processo, quando il 19 novembre 2014 venne considerato prescritto il reato di disastro ambientale doloso. In questo nuovo caso, il reato contestato è quello di omicidio volontario, per la morte di 258 persone a causa dell'amianto tra il 1989 ne il 2014.

NE BIS IN IDEM. La Corte, in sostanza, deve decidere se Schmidheiny possa venire processato per un reato diverso rispetto a quello del primo processo, anche a fronte dello stesso contesto. Una necessità dopo che il 24 luglio scorso, chiamata a pronunciarsi sull'avanzamento del procedimento, la gup del tribunale di Torino, Federica Bompieri, aveva deciso di inviare gli atti alla Corte Costituzionale, per dirimere la questione sollevata dalla difesa che si era appellata al principio del 'ne bis in idem'. Secondo quest'ultimo non si può essere giudicati due volte per gli stessi fatti.

LA STORIA PROCESSUALE. Dopo una condanna in primo grado a 16 anni di reclusione per disastro ambientale doloso permanente e omissione di misure antinfortunistiche, il 3 giugno 2013 era stata emessa la sentenza di appello dalla Corte d'Assise di Torino: 18 anni di carcere al miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, unico imputato alla sbarra, dopo la morte poche settimane prima del barone belga 92enne Louis De Cartier De Marchienne. Ma il 19 novembre 2014, il colpo di scena: la Corte di Cassazione annullava la condanna di Schmidheiny perché il reato risultava prescritto.

LO SGUARDO DEL MONDO. La tragedia dell'Eternit e di conseguenza i suoi sviluppi processuali, sono da sempre seguite con particolare attenzione anche all'estero. Negli anni passati, l'Afeva (Associazione famigliari vittime dell'amianto) è stata supportata costantemente da delegazioni di vari Paesi, tra cui Francia, Svizzera, Belgio e Brasile. Anzi, il primo processo, le cui indagini sono state guidate dal pm Raffaele Guariniello, è stato considerato un apripista sulla questione amianto in tutto il mondo. Anche per questo la decisione della Cassazione aveva scatenato dissapori non solo in Italia.

LA STRAGE DELL'AMIANTO. Gli stabilimenti Eternit operativi in Italia erano quattro. Oltre al più grande, quello di Casale Monferrato, chiuso nel 1986, c'erano impianti a Rubiera, Cavagnolo e Bagnoli. In tutto, è accertato che la fibra killer lavorata in questi siti abbia provocato più di tremila vittime, principalmente per mesotelioma, il tumore causato dall'amianto. Secondo gli esperti, il picco dei decessi non si è ancora raggiunto, dovrebbe venire toccato nel 2025, e ogni anno a Casale Monferrato si registrano 50 nuovi casi di mesotelioma pleurico, 70 nella provincia di Alessandria, che coinvolgono sempre più persone che in fabbrica non avevano mai lavorato.