Terrorismo, gup: Marianna Sergio presa da entusiasmo per attentati

La sorella della foreign fighter Giulia "Fatima" Sergio era stata condannata a 5 anni e 4 mesi di reclusione

Marianna Sergio "ha mostrato una totale condivisione dell'agire terroristico dello stato islamico, ha svolto propaganda in favore della lotta armata, coinvolgendo l'intero nucleo familiare e tentando di coinvolgere nelle proprie scelte altre persone". Questo uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza, scritta dal gup di Milano Donatella Banci Buonamici, che il 23 febbraio scorso ha condannato con rito abbreviato la sorella della foreign fighter Giulia "Fatima" Sergio – latitante in Siria con il marito Aldo Kobuzi – a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Il giudice aveva anche condannato Arta Kakabuni e Baki Coku, zii di Kobuzi, rispettivamente a 3 anni e 8 mesi e a 2 anni e 8 mesi.

Condannata anche Lubjana Gjecaj a 3 anni, mentre era stato assolto per non aver commesso il fatto il marito Dritan Gjecaj. Marianna, per il giudice, "non ha mai mostrato alcuna segnale di ravvedimento, neppure di fronte agli eventi più tragici; mostrando al contrario entusiasmo per le azioni estreme dello stato islamico". "E' stata determinante nella scelta dei genitori di abbandonare l'Italia – scrive ancora il gup – per raggiungere la Siria e certamente tale progetto sarebbe stato portato a termine se non fossero intervenuti gli arresti nel luglio del 2015. Anche all'udienza davanti a questo giudice non ha mostrato alcun ravvedimento né ha mai tentato una presa di distanza dalle atrocità dello stato islamico. Questa sua estrema radicalizzazione non la rende quindi meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche".

L'ISIS E IL SISTEMA DEL TERRORE. "L'Isis è dunque uno stato terroristico, che si propone l'eliminazione programmatica dei miscredenti, l'espansione territoriale, che impone la obbligatorietà della jhira e severe conseguenze per chi non la fa, la disponibilità alla esecuzione di qualsiasi azione richiesta dalla organizzazione; una organizzazione che mira ad intaccare fondamentali principi costituzionali (nei quali lo Stato italiano si riconosce) e che si esplicita in atti che intendono instaurare il "sistema di terrore" contro chiunque (persone, Stati – intesi come "Stati comunità"-, organizzazioni internazionali)", scrive ancora il gup.

Lo Stato Islamico per il giudice, è "uno stato terrorista operante a livello sovranazionale, dotato di un apparato organizzativo estremamente sofisticato, all'interno del quale, con una ripartizione dei ruoli operano uomini e donne, provenienti da ogni parte del globo, che svolgono molteplici compiti: dalla propaganda attuata essenzialmente attraverso la diffusione sul web, al reclutamento, all'indottrinamento, al combattimento, all'assistenza agli associati sia nei territori del califfo che nel territorio estero".

"La natura di organizzazione terroristica dell'IS – si legge ancora – emersa nella sue caratteristiche dalla odierna indagine è peraltro riconosciuta sia a livello sovranazionale che a livello interno".

CHIAMATA ALLE ARMI RIVOLTA ANCHE ALLE DONNE. "Questa chiamata alle armi non è rivolta esclusivamente agli uomini: il Califfo infatti, ha intrapreso una massiccia campagna di reclutamento rivolta al pubblico femminile", prosegue Banci Buonamici in un passaggio delle motivazioni della sentenza di condanna.

"Sono coinvolte in questa propaganda giovani donne occidentali – scrive ancora il giudice – cui l'Isis ha messo a disposizione una rete di supporti ad hoc che le aiuta a recarsi in Siria, affidando loro il compito di contribuire alla nuova società che il Califfato vuole realizzare. Una volta partite, queste giovani, attraverso i social media – Facebook e Twitter – raccontano la loro vita di "donna del jihadista".

"Con l'avvento del Califfato – prosegue la sentenza – il reclutamento delle donne ha avuto un forte incremento e accelerata e non è più limitato al compito di supporto agli uomini. Le donne, infatti, nel Califfato hanno ruoli molteplici, come documentato dalle operazioni tecniche disposte nel procedimento: a volte si limitano ad inneggiare al jihad esprimendo il pieno sostegno ad azioni come quella di Charlie Hebdo (anche nella presente indagine come si vedrà, successivamente all'attentato alla sede del giornale satirico, due delle imputate, Sergio Marianna e Kakabuni Arta gioiscono per la morte dei miscredenti); altre agiscono da reclutatori, come Samira Yerou; altre ancora non solo sposano i mujaheddin e si trasferiscono con loro in Siria, ma imparano l'uso delle armi come accaduto a Maria Giulia Sergio, una delle imputate ad oggi ancora latitante; altre ancora sarebbero impegnate nella gestione di altre donne, appartenenti a minoranze religiose, prese come schiave e vendute come concubine ai combattenti".