Costa Concordia 4 anni dopo: una storia di dolore e riscatto

La nave si incagliò il 13 gennaio 2012 davanti all'isola del Giglio per un 'inchino'

di Fabio De Ponte   "Sono stanco, ora una birra e poi vado a dormire". Cori da stadio e applausi. Sono le quattro del mattino al porto dell'isola del Giglio. Una folla lo ha atteso tutta la notte per acclamarlo. Nick Sloane, direttore delle operazioni che hanno portato al raddrizzamento della Costa Concordia è l'eroe del momento. E' il 17 settembre 2013. La nave, dopo sei mesi di lavori culminati con una operazione titanica durata 19 ore consecutive, è tornata dritta e finalmente può essere portata via. Anche di questi momenti di riscatto è fatta la vicenda della nave che esattamente quattro anni fa, il 13 gennaio 2012, alle 21.45, urtò gli scogli delle Scole davanti all'isola del Giglio. Colpa del cosiddetto 'inchino all'isola'.

 

Per realizzare le strutture del cantiere costruito attorno al relitto furono impiegate più di 30mila tonnellate di acciaio, pari a quattro volte il peso della torre Eiffel. Oltre 500 uomini al lavoro, costi per 600 milioni di euro, oltre 150 aziende italiane coinvolte. "Se pensi a tutti quello che c'era dentro questo progetto, tra elettronica e acciaio, realizzi che pochi Paesi al mondo avrebbero potuto mettere insieme in così poco tempo un'operazione così vasta", sintetizza Sloane.

 

Ma "anche se c'è giustamente – sottolinea l'allora capo della Protezione civile Franco Gabrielli e oggi prefetto di Roma, uno dei protagonisti indiscussi di quella stagione – il riconoscimento di una attività che è stata fatta, di una grande espressione dell'ingegneria e dell'attività di coordinamento che si è realizzata tra il pubblico e il privato, mai questa vicenda potrà essere compresa senza mettere come punto fondante i dolori e i lutti. Una avventura che affonda le sue radici in una tragedia ma che poi ha dato luogo a un grandissimo sforzo della comunità scientifica, delle istituzioni, dei privati, che ci hanno messo soldi, determinazione e volontà, indubbiamente si è realizzata una cosa straordinaria".

 

Le vittime, sottolinea, non furono 32, come sempre si dice, ma 33: "Oltre alle trentadue persone morte nel naufragio – spiega – io annovero sempre anche il povero sommozzatore spagnolo che morì nelle fasi che precedettero il parbuckling", cioè l'operazione di raddrizzamento della nave.

 

La nave oggi è ancora attraccata al porto di Genova, dove lentamente procede il suo processo di smantellamento. "Le attività che restano da terminare – spiega Gabrielli – sono due: da un lato consistono nel ripristino delle condizioni ambientali all'isola del Giglio, che proseguono in modo significativo; e dall'altro lo smantellamento della nave, che ha un timing ha 18 mesi. Ci vorrà ancora un anno all'incirca".

 

Resta il processo: l'11 febbraio 2015 Francesco Schettino, comandante della nave, è stato condannato in primo grado a 16 anni di reclusione, per omicidio plurimo colposo e lesioni colpose, per naufragio colposo e abbandono della nave. In attesa del secondo grado, ha suscitato polemiche per le sue uscite pubbliche e per il libro che ha dato alle stampe, 'Le verità sommerse', edito da Graus Editore. "Sarà scritta una pagina giudiziaria, ma alla fine – commenta l'ex capo della Protezione civile – qualsiasi pagina giudiziaria non restituirà agli effetti le persone che sono venute meno. Penso alla bimba riminese di cinque anni, ai ragazzi di giovane età che sono morti, fino al ritrovamento dell'ultimo corpo, quello del cittadino indiano. Dietro ogni storia ci sono vissuti, tragedie, dolori mancanze, che nessuna impresa e nessuna sentenza potrà mai cancellare".