Città del Vaticano, 23 nov. (LaPresse) – “In Vaticano non esiste alcuna legge che possa essere paragonata all’articolo 21 della nostra Costituzione, né commi a difesa del diritto di cronaca, o codici deontologici che permettano al giornalista di opporre il segreto professionale a tutela delle proprie fonti. Domani inizia il dibattimento e sarò in aula. Ma questo che inizia non è un processo contro di me. È un processo alla libera stampa”. Lo scrive Emiliano Fittipaldi, giornalista imputato in Vaticano per concorso in diffusione di documenti riservati, in una lettera a La Repubblica.
“Mentre scrivevo ‘Avarizia’, il libro-inchiesta in cui racconto gli scandali economici e i segreti finanziari del Vaticano – spiega – mai avrei immaginato che dopo la sua pubblicazione sarei finito sotto inchiesta, mandato alla sbarra e processato davanti ai giudici pontifici. Processato perché accusato di un reato che prevede una pena che va dai 4 agli 8 anni di carcere”.
“Speravo che il libro, invece di essere messo all’indice come ai tempi del Sant’Uffizio – prosegue – provocasse anche una reazione costruttiva da parte del mondo ecclesiastico, un dibattito sulle difficoltà che papa Francesco sta incontrando nel cammino da lui intrapreso per ‘una Chiesa povera e per i poveri’. È invece accaduto il contrario”.
“La giurisprudenza vaticana considera un delitto l’essenza stessa del nostro mestiere – sostiene Fittipaldi – ossia il dovere di pubblicare i fatti che il potere, qualunque forma esso prenda, vuole tenere occultati alla pubblica opinione”.