Pomodori e zucchine sui tetti delle città: arriva ‘Orti alti’

Di Elena Fois

Torino, 4 nov. (LaPresse) – Elena Carmagnani ed Emanuela Saporito sono due architetti dal percorso professionale diverso, ma sono accomunate da una passione e da un obiettivo: il verde urbano e le innovazioni sociali. Elena, 46 anni, è una degli otto candidati al Premio Luisa Minazzi – Ambientalista dell’anno, assegnato da Legambiente, dal mensile ‘La nuova ecologia’ e da un comitato di associazioni di Casale Monferrato (Alessandria), grazie al progetto ‘Orti alti’, finalizzato trasformare l’ultimo piano degli edifici urbani in orti condivisi.


CINQUE ANNI DI ESPERIMENTI.
Ma come è nata questa idea? “‘Orti alti’ – racconta Elena Carmagnani – è un progetto nato del 2010 con l’obiettivo di realizzare orti pensili di comunità sui tetti degli edifici e di coinvolgere il più possibile gli abitanti”. Il primo ‘embrione’, spiega, “è nato da una piccola esperienza fatta sul tetto del mio studio di architettura, nel quartiere di San Salvario a Torino”, una zona che negli ultimi anni ha subito un grande processo di riqualificazione urbana. Un’iniziativa, quella lanciata da Elena, che ha avuto un grande successo tra gli abitanti. Cinque anni fa gli orti urbani non erano ancora una presenza più o meno diffusa nelle grandi città e Milano si era candidata ad ospitare l’Expo sul tema della nutrizione. “Temi molto sentiti – spiega l’architetto – e anche per questo l’iniziativa a San Salvario è stata accolta positivamente”.

I VANTAGGI DI AVERE UN ORTO SUL TETTO. ‘Orti alti’, però, fa parte di una “strategia più complessa, quella di trasformare le città, i bassi fabbricati dei cortili, i capannoni industriali (che rappresentano il 20% circa delle superficie urbana non utilizzata)” in spazi di miglioramento ambientale. I vantaggi di avere un orto sul tetto, come viene spiegato attraverso una scheda sul sito del progetto, sono tanti: in primo luogo, dice Elena Carmagnani, “permette di migliorare la gestione delle acqua piovane”, il 35% delle quali viene assorbita dalla terra. Inoltre, isola l’edificio, riducendo del 10-15% il consumo energetico. Infine, contribuisce a ridurre l’effetto delle isole di calore urbano e le emissioni di CO2 e a mitigare l’inquinamento acustico urbano. Senza dimenticare “gli aspetti produttivi”, cioè la possibilità di avere “vegetali a chilometri zero a disposizioni degli abitanti”. L’orto diventa quindi “un luogo di scambio”, uno spazio collettivo che fa bene all’ambiente.


LA MISSIONE SOCIALE.
Ma c’è di più. Tutto il progetto ha una missione di tipo “sociale, quella di anticipare le strategie politiche” e, allo stesso tempo, “coprire i buchi” in termini di welfare e offrire anche alle istituzioni una visione nuova dei problemi e delle possibili soluzioni. E’ il caso, ad esempio, di casa Ozanam, una cooperativa sociale torinese che si occupa dell’inserimento di soggetti svantaggiati impiegati nella gestione di un ristorante, le Fonderie Ozanam. Il tetto della vecchia fabbrica degli anni ’30 sarà trasformato in un grande orto “che servirà sia al ristorante sia agli abitanti del quartiere”. Sarà invece dedicato ad attività didattiche la torre che presto sarà realizzata in un supermercato della provincia ci Torino. Qui, accanto a una “strategia di marketing – spiega l’architetto – 600 metri quadri saranno a disposizione di progetti educativi”.


LA DIFFICOLTA’ DI REPERIRE RISORSE.
Promozione sociale, verde urbano, aggregazione e start up no sempre fanno rima con risorse accessibili. ‘Orti alti’ fa parte di un network internazionale “per vedere quello che accade nel resto del mondo”, trarre ispirazione ed, eventualmente, esportare le idee tutte italiane all’estero. Eppure, finanziare i progetti non è facile: la Banca europea degli investimenti (Bei) in passato ha sostenuto orti urbani, così come sponsor privati e associazioni. Eppure manca un progetto concreto di collaborazione con il mondo istituzionale. “Su questo – conclude Elena – c’è ancora molto lavoro da fare. Abbiamo costruito diversi tavoli di discussione sulle policy del verde pensile, ma l’Italia è indietro rispetto al resto d’Europa. Da tempo nel parliamo ma ancora non ci sono progetti” condivisi tra ‘Orti e alti’ e Comuni o Regioni.