dal nostro inviato Jan Pellissier a bordo del Cigala Fulgosi
Libia, 1 set. (LaPresse) – Alle 4.50 il pattugliatore d’altura Cigala Fulgosi accelera fino ai 23 nodi della sua velocità massima. E’ il segnale che a qualche miglio di distanza un gommone o un barcone carico di migranti sta andando alla deriva. La Libia è a meno di 50 chilometri, ‘Mare Sicuro’ arriva fino a qui a 140 miglia a Sud di Lampedusa. Dopo due giorni con un solo sbarco nonostante il meteo ideale, la marea dei migranti si è rimessa in moto. Poco dopo le sei il sole sorge dal mare a est, il Cigala assume il ruolo CFM, che sta per ‘controllo flussi migranti’. La poppa e il ponte di volo da quel momento sono ‘off limits’ per tutto il personale di bordo che sia sprovvisto delle tute di protezione individuale, identiche a quelle usate nei reparti di terapia intensiva, con la sola differenza che indossarle sotto il sole africano sia un calvario.
La telecamera Svir a infrarossi poco dopo individua il gommone all’orizzonte, avvicinandosi il personale prepara le idrobarche per il recupero, a bordo salvagente, un infermiere e personale specializzato. A sorpresa, lo scafista tenta la fuga, e il Cigala deve riaccelerare e scatta un breve inseguimento. Poi tutto si cristallizza, a bordo tutto è pronto: il mini triage nell’hangar dell’elicottero, l’acqua, la scaletta ‘barcarizzo’ per far salire i migranti. Una routine di fatto. Averli intercettati così presto rende l’operazione agevole, donne e bambini vengono divisi dagli uomini che vengono fatti sedere con precisione certosina per risparmiare spazio. “Oggi facciamo il pieno” pronosticano tutti a bordo. Una volta saliti a bordo, i migranti riconsegnano i salvagente, vengono perquisiti con i metal detector e poi gli si chiede la nazionalità. In meno di 40 minuti 109 migranti sono a bordo, nessun ferito, due fratellini in camicia a quadretti e due donne incinte.
Si riparte poco dopo. Il Cigala si dirige prima verso un barcone poco più in là. Nelle stive di queste imbarcazioni si sono verificate il maggior numero di decessi, e negli occhi di tutti sul Cigala ci sono ancora i 49 cadaveri che proprio questo equipaggio ha estratto a Ferragosto su una delle tante carrette del mare di quest’estate. Meglio controllare quindi, ma avvicinandosi risulta chiaro che si tratta solo di un peschereccio con la radio spenta. Nuova accelerazione e si va verso un gommone a meno di due miglia. Tutto sembra andare come durante il primo recupero. Invece il destino è avverso. Gli uomini dell’idrobarca infatti allertano subito la plancia che sul fondo del gommone ci sono alcune donne, apparentemente svenute. Poco dopo diventano 4 donne morte. Una arriva a bordo che sembra poter essere salvata, si esita e si spera un istante, ma il suo cuore non batte più. Il defribillatore nemmeno viene acceso. Una quinta ragazza viene salvata grazie alla presenza a bordo del personale medico del corpo militare della Croce Rossa e della Marina. Quando arriva a bordo ha gli occhi rovesciati ed è incosciente. Dopo un paio di flebo sorride, un miracolo o quasi.
I cadaveri intanto vengono subito messi nelle ‘body bag’ nere: tre lacci stringono queste sacche nere all’altezza di collo, torace e caviglie, altrimenti sarebbe impossibile spostarle nell’area dedicata a chi non ce la fa. Una prima analisi dei cadaveri, rivela una certa rigidità in 3 dei 4 corpi, segno che la morte è avvenuta da qualche ora, secondo il medico. Non ci si può fermare però, perché al ritmo di venti alla volta, i superstiti arrivano. Un’altra ragazza ha un occhio gonfio, come neanche un pugile. Molte sono disidratate, un’altra ha una caviglia fuori posto. I 4 cadaveri vengono spostati, nascondendoli alle sorelle, che sono a bordo e chiedono notizie. Riceveranno menzogne bonarie come risposte.
La mattinata non è ancora finita però. Un altro gommone va salvato, il Cigala riparte verso ovest. Il terzo recupero è forse il più pesante, perché ora il sole è implacabile, e le tute sono dei sudari. Sono altri 120 migranti, che portano il totale di una sola mattinata a 341, più i 4 cadaveri. Il ponte di volo ora è quasi pieno, anche perché ospita pure l’elicottero dell’unità, che interviene quando l’avvistamento non è sicuro, e ciò avviene soprattutto con il mare grosso. Oggi non vola quindi, e serve solo a far ombra. I migranti sono silenziosi, a vegliare in modo deciso su di loro i 10 militari del battaglione San Marco, i modi sono spicci ma così nessuno fiata: “Parlagli a voce alta, altrimenti fanno come vogliono”, consiglia chi ha più esperienza. “Questa è una nave militare, ma questo lavoro potrebbero farlo tutti, mica solo i militari”, si lascia andare uno dei più esperti presenti sul ponte. Brevi indagini tra i superstiti portano ad una rapida individuazione degli ‘scafisti’ dei primi due gommoni, quello del terzo invece non si troverà, il gommone è stato infatti portato al largo, poi i trafficanti di uomini l’hanno abbandonato, riprendendosi lo scafista. Questo almeno raccontano i superstiti. E’ ora di pranzo, e arrivano i pasti: in una vaschetta riso con piselli e curry, e un po’ di carne di pollo. Le donne sono le prime a ricevere il cibo, e dopo qualche indugio lo apprezzano, e ringraziano chi glielo passa. Ai bambini biscotti e latte, e tanti sorrisi da parte di tutti, che loro ricambiano, silenziosi, con grandi occhi curiosi.
Nel primo pomeriggio, si comunica al Cigala che i migranti saranno tutti trasferiti sulla nave norvegese ‘Siem Pilot’ che fa parte del dispositivo ‘Triton’ dell’agenzia europea Frontex. L’operazione si conclude senza rischi e senza problemi poco dopo le 16.30, tutti saranno sbarcati in Italia tra poche ore, ad accompagnarli i resoconti del capitano del Cigala, indirizzati in busta sigillata alla Procura. Sul Cigala torna la calma. Pulizie e la coscienza di aver fatto quanto possibile. “Domani potrebbe essere una altra giornata difficile”, anticipa il capitano. Un’altra, al largo della Libia.