Cyberbullismo, al Gemelli di Roma la prima struttura dove si curano le emozioni

di Denise Faticante

Roma, 31 ago.(LaPresse) – Un ragazzo su quattro dichiara di essere sempre connesso. Nove su dieci hanno uno smartphone con accesso a internet e uno su sei, quando manca la connessione, ammette di provare un senso d’ansia. Ma soprattutto, e questo è l’elemento che preoccupa di più sia le forze dell’ordine che gli esperti, sei ragazzi su dieci hanno subito esperienze di cyberbullismo.

Il dato emerge da un’indagine fatta dalla polizia di Stato in collaborazione con il ministero dell’Istruzione e il garante per l’Infanzia. Il cyberbullismo è un fenomeno molto grave perché in pochissimo tempo le vittime possono vedere la propria reputazione danneggiata in una comunità molto ampia.

Per questo, e vista la crescente dimensione del fenomeno, nel 2009 è nata a Roma, all’interno del Policlinico Gemelli, la prima struttura che si occupa di cyberbullismo, dipendenza da internet e social network. L’ambulatorio ha visto passare circa mille persone, la maggior parte ragazzi dai 12 ai 23 anni.

È stata la prima struttura del genere aperta in un ospedale pubblico: per ricorrervi, basta pagare il ticket. Ci sono anche dei gruppi di sostegno per i genitori, proprio perché il problema nasce spesso dall’ambiente in cui il ragazzo vive.

“I ragazzi che arrivano nel nostro centro- racconta a LaPresse il dottor Federico Tonioni, responsabile della struttura- hanno come denominatore comune un problema di ritiro sociale e quindi di esclusione. Iniziano a smettere di andare a scuola e sono gli stessi che sono più predisposti al cyberbullismo. Non riescono a confrontarsi dal vivo: il loro vero problema è legato alle emozioni”.

Ma attenzione, avverte il medico, guai a criminalizzare il pc e internet: la questione sta nel loro uso. “Prima dell’avvento del web, questi stessi ragazzi – sottolinea Tonioni- con molta probabilità rimanevano chiusi in casa e uscivano solo con la loro mamma”.


Poi c’è un altro fattore importante. I nativi digitali crescono ora con altri imput rispetto al passato, altri strumenti, e per questo sono più a rischio. “Oggi- evidenzia il medico -, i bambini vengono distratti con gli smartphone, crescono intrattenuti da schermi interattivi e portatili dai quali non si liberano mai”. Per il medico, quindi, è proprio l’interattività che “trattiene e intrattiene”, il che porta a una relazione con l’esterno diversa.

“In questo mondo- specifica- il linguaggio emotivo è castrato perché si cresce in quasi totale assenza di contatto fisico”. Negli adolescenti, non si può parlare di dipendenza patologica che è fatta di coazioni compulsive ripetute, ma di una forma di abuso di connessione, una sorta di “sbronza” digitale. Questo li porta ad avere difficoltà nell’interagire in gruppo, essendo abituati a una relazione di tipo duale.

La maggior parte dei ragazzi che ha frequentato l’ambulatorio passa il tempo davanti ai video giochi ‘spara-tutto’. La cura, che non prevede l’assunzione di farmaci, funziona con colloqui individuali e terapie di gruppo: obiettivo è iniziare a far esprimere le emozioni e convogliarle all’esterno in maniera naturale, perché il cuore della questione sta tutto nei problemi affettivi, secondo il medico.

Il fulcro, quindi, è arrivare a una buona capacità introspettiva. “Da noi- dice Tonioni- non esiste in concetto di guarigione, ma di cambiamento”. Poi un appello ai genitori:”La vera cura è il dialogo, anche attraverso il conflitto che rimane pur sempre comunicazione”. E infine un invito a tutti: “Proviamo a uscire senza telefonino: non accadrà nulla di catastrofico”.