Di Fabio De Ponte
Roma, 17 ago. (LaPresse) – Tanti desk chiusi, area per il pranzo deserta, qualche sparuto dipendente subissato di richieste dai clienti. Così si presenta l’Ikea di Roma Anagnina oggi. I lavoratori sono in sciopero per il contratto integrativo aziendale, uno sciopero che dura da sette giorni e che coinvolge – ognuno con orari e modalità di protesta diversi – tutti i punti vendita italiani della catena di mobili svedese.
Il motivo “è molto semplice – spiega Filippo Faiola, del sindacato di base Flaica -: l’Ikea si è costruita questa immagine di azienda diversa, dagli standard nordeuropei, ma è una multinazionale come tutte le altre. Vogliono abbassarci il domenicale dal 70% al 40% e le altre festività dal 130% al 70%. E poi ridurre l’integrativo di altri 60-70 euro al mese. Per un dipendente che prende 1300 euro al mese, significa rimetterci almeno duecento euro, circa il 20 per cento. Se uno poi considera che qui dentro la maggior parte dei dipendenti è part time, i conti sono presto fatti”.
Davanti all’ingresso principale uno striscione con la scritta “7° giorno di sciopero” e altri che recitano “Lavoratori italiani, mobili svedesi, stipendi cinesi” e “Offerta speciale, sconto del 20% su tutti i dipendenti Ikea”. A giudicare dall’effetto deserto che ha provotato all’interno, lo sciopero sembra abbastanza riuscito. Qualcuno comunque ha scelto di lavorare: “Sono qui per una questione economica – spiega una dipendente seduta a uno dei punti informazioni lungo il percorso – non mi posso permettere una settimana di sciopero. Ma qualcosa bisogna fare, ci stanno tagliando lo stipendio davvero troppo”.
“Il Sud Europa – dice Faiola – è discriminato. In Germania guadagnano di più, i punti vendita la domenica sono chiusi e fanno orari più ridotti. Qui da noi, così come in Spagna, la proprietà pretende più flessibilità in cambio di redditi inferiori. Ci hanno provato anche in Francia, ma lì sono scattati subito scioperi duri e hanno dovuto fermarsi”.
La trattativa si trascina da tempo, ma nelle ultime settimane è arrivata a un punto morto. Nell’ultimo comunicato, che risale al 5 agosto, l’azienda si dice disposta a riaprire il dialogo solo a fronte di una disponibilità ad accettare un “innovativo sistema di gestione dei turni, che offre la possibilità ai collaboratori di partecipare alla scelta dei propri orari di lavoro, con l’obiettivo di raggiungere una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro”, al quale – è l’idea dell’azienda – vincolare poi i dipendenti collegando ad esso metà del premio aziendale. “Significa più flessibilità di orario – è la brusca sintesi di Faiola – il che, per chi fa il part time, equivale a continuare a guadagnare la metà essendo disponibile come un full time”.
L’Ikea chiede poi di rendere “variabile” una parte della retribuzione e di vincolarla “a obiettivi di tipo economico”. E poi c’è il capitolo maggiorazioni festività: l’azienda non solo vuole ridurle, ma vuole introdurre anche un meccanismo di progressività. Le domeniche sarebbero pagate “dal 40% al 70% in relazione al numero” di quelle lavorate. “In pratica la prima domenica ti viene pagata il 40%, la quarantesima domenica il 70%”, spiega il sindacalista. Analogo il ragionamento per le altre festività, le cui maggiorazioni andrebbero da un minimo di 50% a un massimo di 70%.
“Capirei la necessità di tagli – dice Faiola – se l’azienda fosse in crisi. Ma continua ad essere in attivo”. Non è così, ribatte l’azienda, sostenendo che il momento sia particolarmente difficile. E rivendica: “Nonostante negli ultimi tre anni le perdite di bilancio dovute alla crisi abbiano prodotto un disavanzo complessivo di oltre 53 milioni di euro, Ikea ha dato prova di gestire con responsabilità questa congiuntura attraverso una forte spending review interna e senza arrivare né a chiudere punti vendita, né a tagliare la forza lavoro, come invece è purtroppo capitato ad altre realtà del settore”.
A livello globale, però, le cose sembrano andare piuttosto bene: negli ultimi dodici anni, tra il 2003 e il 2014, i ricavi non hanno conosciuto battute d’arresto e sono andati costantemente crescendo, col 2014 che ha chiuso a quota 29,3 miliardi, contro i 28,5 dell’anno prima. Il report annuale dell’azienda, reperibile sul suo sito, parla di “performance positiva nell’anno finanziario 2014”, che per Ikea va dal primo settembre 2013 alla stessa data del 2014, “che è risultato in un profitto netto di 3,3 miliardi di euro, il che ha contribuito alla nostra forte posizione finanziaria e alla capacità di sviluppare ulteriormente il nostro business e la nostra offerta ai clienti”.
“Nell’ultimo anno – si legge ancora – siamo cresciuti praticamente in tutti i mercati, con Cina, Russia e Ungheria tra i più rapidi. Buona performance nel Nord America mentre in Europa, anche se l’impegnativa situazione economica potrebbe non essere ancora finita, si continuano a vedere miglioramenti. Un segno particolarmente positivo è stato la crescita nel Sud Europa, dove il Portogallo ha fatto particolamenrnte bene e la situazione in Spagna sta migliorando abbastanza velocemente.
Ad agosto (2014, ndr) abbiamo aperto il nostro primo store in Croazia e abbiamo fatto passi avanti per stabilire la nostra presenza in India. Le vendite online, attive in 13 dei nostri 27 mercati, hanno mostrato una forte crescita. Il sito Ikea.com ha avuto più di un miliardo e mezzo di visite”.