Traduzione di Nicola Garcea (docente di Latino e Greco al Liceo Classico Nazareth di Roma)
Roma, 18 giu. (LaPresse) – Ormai il fisico, ormai le forze venivano a mancare a Tiberio, non ancora la capacità di dissimulare: la freddezza morale era la stessa; attento nelle parole e nell’espressione del volto, mascherava con un’affabilità a tratti affettata il benché evidente deperimento. Cambiato luogo in maniera piuttosto frequente, alla fine si stabilì in una villa presso capo Miseno, di cui un tempo fu proprietario L. Lucullo. Lì si capì che lui si stava avvicinando alla morte
C’era un medico, insigne nella sua professione, di nome Caricle, non solito a curare proprio le malattie dell’imperatore, tuttavia incline ad offrire una serie di consigli. Questo, fingendo di accomiatarsi per badare a questioni personali, strettagli la mano come per ossequio, gli tastò il polso, ma non lo ingannò: infatti Tiberio, forse risentito e tanto più trattenendo l’ira, ordinò di riprendere il banchetto e si trattenne più del solito, come se volesse onorare l’amico che se ne andava.
Tuttavia Caricle confermò a Macrone che era vicino alla morte e che non sarebbe durato più di due giorni. Da quel momento ogni cosa veniva affrettata nei colloqui tra i presenti, con i messaggi presso i legati e gli eserciti. Il sedici di marzo, interrotto il respiro, si credette che fosse spirato; e mentre C. Cesare usciva per gustare l’esordio dell’impero con una folla di persone plaudenti, improvvisamente si diffuse la notizia che a Tiberio tornavano la voce e la vista, e che reclamava cibo per rimettersi dallo sfinimento.
Tra tutti si diffuse il panico, alcuni si disperdevano, ciascuno si fingeva mesto o ignaro; Cesare, chiuso nel silenzio, aspettava dopo quella vertiginosa speranza una terribile rovina. Macrone, intrepido, comandò di soffocare il vecchio gettandogli sopra un mucchio di vesti e di allontanare tutti dalla soglia. Così finì la vita di Tiberio a sessantotto anni di età.