di Isabella Ciotti
Roma, 14 giu (LaPresse) – Gli operatori della Croce Rossa li chiamano ‘transitanti’, perché “nessuno di loro vuole restare in Italia”: “Alcuni – dice il presidente della Cri romana – non sapevano nemmeno di essere a Roma”. Sono un centinaio i migranti che questo pomeriggio hanno trovato alloggio nella tendopoli allestita nelle ultime 24 ore dal Comune di Roma, tra la stazione Tiburtina e Ponte Lanciani. In nottata il loro numero dovrebbe salire a 200, a fronte di 150 posti letto disponibili.
Donne e uomini giovani – per lo più eritrei e somali -, ma anche molti bambini, visitati questa mattina dai pediatri della Croce Rossa. “Il nostro obiettivo era di dare a queste persone un po’ di tranquillità”, dichiara ai giornalisti l’assessore alle Politiche Sociali di Roma Francesca Danese. La tendopoli, chiarisce l’assessore, è infatti una misura temporanea: “Una nuova struttura, sempre vicina alla stazione, dovrebbe essere allestita entro i prossimi 20 giorni”.
Dopo l’intervento di venerdì della polizia, circa 700 dei migranti accampati in stazione avevano cercato ricovero al Centro Policulturale Baobab di via Cupa, che di posti letto ne ha solo 200. È lì che operatori e volontari sono andati a soccorrerli, ieri notte, quando un centinaio di profughi aveva già trovato il modo di partire.
Ed è lì che molti continuano a cercare riparo. Mentre in stazione si inaugurava la tendopoli, almeno una cinquantina di migranti oggi stava seduta sul marciapiede all’incrocio tra via Tiburtina e via Cupa. “Oggi a pranzo ne abbiamo ospitati circa 600”, riferisce Daniel Zagghay, il coordinatore del Centro Baobab. Sanno che non c’è posto per dormire, ma sanno anche che lì non saranno identificati e che troveranno almeno qualcosa da mangiare.
Sono tanti, in effetti, i cittadini in coda davanti al cancello del centro con in mano le buste della spesa: “Non è vero quello che si dice, che i romani vogliono mandar via i profughi – spiega Cristina Franchini, operatrice dell’UnHcr -: la solidarietà che dimostrano è sorprendente”.
Tra i volontari c’è anche Aimen Gabala, originario della Libia ma in Italia da quattro anni. Cerca di fare da interprete per quei profughi che conoscono solo l’arabo. “Più che la Libia – spiega Aimen -, il problema è l’Eritrea, dove c’è povertà e vige un regime dittatoriale. È con questo paese che il governo italiano deve dialogare”.
Afurki, sulla trentina, viene proprio da Keren, Eritrea. È in Italia dal 24 maggio, ma al Baobab ci è arrivato cinque giorni fa. “La maggior parte di noi – spiega – viene qui per sfuggire al servizio militare. Essere arruolati nell’esercito in Eritrea è una condanna: non c’è un tempo di servizio definito, si entra e non si sa se si uscirà, si perdono libertà e diritti”. L’uomo non sa che ne sarà di lui ora, ma di una cosa è certo: “Preferisco morire in Italia che vivere laggiù”.
Un ragazzo di 17 anni, che non vuole dire il suo nome, sta seduto sul marciapiede a scherzare con i ‘compagni di viaggio’. Gli amici vogliono arrivare in Germania, lui invece sta aspettando soldi dalla sorella per raggiungerla in Svizzera: “Spero di prendere un tram, o un treno”.
Lo stesso spera Saud, ben curato, t-shirt e giacchetta in pelle. Per arrivare in Italia – dall’Eritrea al Sudan alla Libia – ha speso 5 mila euro. Ma i soldi ora sono finiti, e lui questo tram non sa come prenderlo.
Hanno tutti un’aria smarrita, i ‘transitanti’ del Baobab. Come i bambini, che giocano e schiamazzano per strada. Come se quei 6mila chilometri per raggiungere l’Italia non li avessero mai fatti.