di Giuseppe G. Colombo
Roma, 6 mag. (LaPresse) – Un pizzico di “invidia” nei confronti degli Stati Uniti, ma anche la consapevolezza che sulla figura del segnalatore di illeciti sono stati fatti “piccoli passi in avanti” in Italia che “vanno nella giusta direzione”: ora, però, è giunto il momento di “sporcarsi le mani” e “fare ancora di più”. E’ il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, a tracciare lo stato di salute delle attività di contrasto alla corruzione nel corso di un ‘faccia a faccia’ con l’ambasciatore statunitense in Italia, John R. Philips, in occasione del convegno ‘Il whistleblowing e la prevenzione della corruzione: l’esperienza americana e le novità normative italiane’ promosso dall’università Luiss Guido Carli.
Analogie e differenze tra Italia e Stati Uniti su una figura, quella del whistleblower, che stenta a prendere piede nel nostro Paese, come ha evidenziato lo stesso Cantone, che ha sottolineato come “facciamo fatica a trovare un termine che traduca quello inglese: lo definiamo pentito, delatore, collaboratore, facciamo persino fatica a dargli una valenza positiva, preferendo un’accezione negativa e quasi di disprezzo”. Il whistleblower, letteralmente ‘soffiatore nel fischietto’, è il lavoratore che, durante l’attività all’interno di un’azienda o di un ente pubblico, rileva una possibile frode, un pericolo o un rischio che è in grado di danneggiare clienti, colleghi, azionisti o il pubblico. In Italia la figura della ‘sentinella’ è stata introdotta con la legge anticorruzione del 2012, ma, sottolinea Cantone, adesso occorre “fare passi in avanti dal punto di vista normativo”. Ecco perché, spiega il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, insieme alle linee guida pubblicate oggi su questo tema, occorre incentivare un cambio culturale in Italia per far sì che “scoprire illeciti possa essere un valore positivo”.
Cantone definisce il sistema italiano lontano “anni luce” da quello statunitense che, spiega l’ambasciatore Philips, permette oggi al Governo stelle e strisce di recuperare l’85% delle somme in materia di frodi proprio attraverso le norme sul whistleblower, previste nella cornice del ‘False claim act’, a fronte di un 15% che è ritornato nelle casse del Tesoro statunitense attraverso l’azione messa in campo dal ministero della Giustizia. “Negli Stati Uniti – spiega Philips – il whistleblower è nato per far fronte alle innumerevoli frodi che venivano perpetrate nei confronti del Governo: grazie alle norme introdotte, le persone, che sono retribuite se segnalano, sono incentivate a far emergere l’atto corruttivo e il danno che viene arrecato all’amministrazione”. Un risultato che Philips rivendica con orgoglio e a suon di numeri: “Da quando è stata introdotto il False claim act, il governo americano è riuscito a recuperare oltre 55 miliardi di dollari dal 1986 ad oggi: la media ora è di sei miliardi all’anno e questo dimostra l’efficacia dell’effetto deterrente della figura del whistleblower”. In Italia il segnalatore di illeciti non è remunerato, ma oltre al ricompenso economico, è l’aspetto legato alla riservatezza che secondo Cantone necessita di ulteriori interventi, in modo da tutelare maggiormente chi si assume il diritto-dovere di segnalare l’illecito: “Da noi il whistleblower non è anonimo, ma si firma, e questo è un bene perché dietro l’anonimo si può nascondere il calunniatore, ma occorre introdurre meccanismi per la sua tutela”, sottolinea.
Il presidente dell’Anac insiste in più passaggi sulla necessità di un cambio culturale in Italia: “La delazione – afferma – non è una brutta parola, ma è chiaro che serve più coraggio da parte del legislatore: occorre fare scelte di rottura”. Philips, dal canto suo, ha dimostrato fiducia nel percorso che stanno intraprendendo gli altri Paesi, Italia compresa, e si è detto speranzoso del fatto che la figura del whistleblower venga estesa anche a contesti sempre più numerosi. Stessa fiducia espressa da Cantone che ha definito la previsione della norma “un miracolo” perché “introduce un principio rivoluzionario”. Se la distanza tra Italia e Usa sembra ancora evidente è lo stesso presidente dell’Anac a spingere l’asticella più in là e a tracciare una ‘road map’ del percorso del nostro Paese: “Oggi solo gli impiegati pubblici hanno la possibilità di segnalare illeciti: ora bisogna estendere questo modello al privato: l’impresa non ha interesse a far emergere il comportamento negativo, anche se a suo danno, perché nuoce all’immagine”, propone. “E’ chiaro che anche su questo serve un cambio di passo culturale significativo”, ha aggiunto. “Quello che occorre scardinare – ha concluso Cantone – è il patto tra due soggetti, il funzionario pubblico e il corruttore, che vogliono la stessa cosa: nessuno dei due ha interesse a far emergere l’atto illecito che si sta mettendo in piedi a danno dell’ente pubblico e quindi di tutti i cittadini”.