Roma, 19 feb. (LaPresse) – Gli squali potranno un giorno nuotare più serenamente grazie ad un nuovo strumento digitale sviluppato dalla Fao che permette una rapida identificazione di queste specie. Il nuovo software, chiamato in inglese iSharkFin, aiuterà a proteggere specie di squali a rischio di estinzione e a combattere il commercio illegale di pinne di squalo. “E’ uno strumento per gli addetti alla dogana, per gli ispettori dei mercati ittici ma anche per i pescatori che vogliono evitare la cattura di specie protette”, ha affermato Monica Barone, che ha guidato una squadra del Dipartimento Pesca e Acquacoltura della Fao nello sviluppo del software.
I lavori su questo progetto sono iniziati nel 2013, dopo che cinque specie di squali sono stati aggiunti alla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche a rischio d’estinzione (CITES). Il sistema si basa su tecniche d’intelligenza artificiale e fornisce un utile strumento agli ispettori portuali, agli agenti doganali, agli ispettori del mercato e a coloro che commerciano pesce, tutte persone che non hanno una formazione specifica nel riconoscimento e nella classificazione scientifica delle specie.
Viene caricata una fotografia, l’utente sceglie alcuni punti chiave della forma della pinna e altri dettagli, un algoritmo confronta le informazioni con la sua banca dati e identifica la specie di squalo in questione. Il processo richiede circa cinque minuti. La Fao sta anche sviluppando un’applicazione di iSharkFin che può essere utilizzata su tablets o smartphone, ampliandone così la portata e l’impiego. Finora iSharkFin è in grado di identificare 35 specie di squali dalle pinne dorsali – la pinna del pescecane per antonomasia – e sette solo dalle pinne pettorali.
Molte di queste specie sono quelle più frequentemente commerciate a livello internazionale. Ne saranno aggiunte altre, ma poiché alcune specie stanno diventando abbastanza rare, ci vorrà tempo per raccogliere dati completi. Il software è stato sviluppato dalla Fao in collaborazione con l’Università di Vigo, in Spagna. CITES e il governo del Giappone hanno fornito un sostegno finanziario. L’introduzione di iSharkFin potrebbe consentire alle autorità di svelare il mistero sulla reale entità della pesca allo squalo a livello mondiale.
Le stime sul numero di squali uccisi variano enormemente. Secondo uno studio recente la cifra potrebbe essere superiore ai 73 milioni di unità, ovvero più del 6 per cento dello stock totale annuo. Una quantità che supera il tasso ritenuto sostenibile per animali, come gli squali, caratterizzati da una crescita lenta, che raggiungono tardi la maturità e che hanno una riproduzione limitata. Dati questi che sono quattro volte superiori rispetto a quanto registrato dalla FAO, basandosi su statistiche ufficiali di produzione.
La causa di tale divario, incomprensibilmente ampio, è spesso attribuita allo “spinnamento” (finning in inglese, n.d.t.), una pratica crudele che consiste nel pescare gli squali, tagliare loro le pinne (destinate al commercio) e rigettare l’animale morente in acqua. Molte nazioni hanno dichiarato lo “spinnamento” illegale e hanno stabilito che le pinne di squalo possono essere commercializzate solo se l’intera carcassa è portata a riva.
L’utilizzo di iSharkFin dovrebbe anche consentire una migliore comprensione del divario di dati, poiché le informazioni sulle pinne fotografate possono essere utilizzate per estrapolare volume e peso presunti dell’intero animale, portando – come ha spiegato la dottoressa Barone – ad un calcolo indiretto della cattura di pescecani.
Della sfida di una gestione efficace in alto mare, di una pesca responsabile e della conservazione delle specie a rischio, si discute questa settimana nel seminario ad alto livello che si svolge presso la Fao (17-20 febbraio).