di Martino Villosio
Roma, 8 ott. (LaPresse) – Zona industriale di Pomezia, poco più di venti chilometri a sud di Roma, a soli sette dal nuovo e ambizioso mega parco tematico sul cinema ‘Cinecittà World’ inaugurato a luglio subito fuori dalla capitale. Mentre il virus dell’ebola bussa alle porte di Stati Uniti ed Europa, generando controllate inquietudini e qualche suggestione da film hollywoodiano, nei laboratori dell’Irbm Science Park l’atmosfera è tranquilla e asettica.
Una cittadella piena di quiete e di verde, lontano dalle immagini e dalle sofferenze apocalittiche provenienti dall’Africa, lontano dalla Spagna, che proprio ieri ha diffuso la notizia del primo caso in Europa di contagio. Lontano, anche, dal traffico infernale della statale Pontina che corre parallela.
Eppure su questo istituto di ricerche di biologia molecolare, che la multinazionale americana Merck cinque anni fa aveva deciso di sacrificare e che nel 2009 è stato rilevato e rilanciato dall’imprenditore italiano Piero Di Lorenzo, si addensano aspettative mondiali.
“Siamo l’unico centro al mondo che in questo momento sta producendo il vaccino contro l’ebola per la sperimentazione su soggetti sani volontari”, conferma Di Lorenzo dopo avermi ricevuto nel suo studio proprio nel cuore del parco scientifico. “Per noi è un’opportunità, ma sentiamo anche una grande responsabilità, non tutto può essere ridotto a semplice business”.
Di più però non vuole dire. Nessuna replica alla domanda se, dopo che il virus si è affacciato in Europa, le pressioni internazionali siano aumentate. A pochi metri da dove stiamo parlando, in fondo, è in produzione il farmaco che l’Occidente spaventato e l’Africa stremata attendono come una panacea.
Ma si è parlato anche troppo, lascia intuire tra una telefonata e l’altra Di Lorenzo, di questo exploit della ricerca ‘made in Italy’, felice ma non improvviso nè improvvisato. Meglio tirare il freno a mano e lasciar raffeddare il clamore, la sperimentazione sull’uomo da poco avviata negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Africa giungerà a conclusione solo all’inizio del 2015, le previsioni sono molto ottimiste ma con il disastro umanitario in corso il rischio è che si scateni una corsa prematura dei governi ad assicurarsi il vaccino.
Impossibile anche scattare foto nella piccola porzione dello Science Park (1.000 metri quadrati su una superficie complessiva di 20.000) destinata alla produzione del vaccino. “Solo per accedere servirebbe una procedura di un’ora”, spiega Di Lorenzo, “le posso dire che lavoriamo a pieno ritmo per consegnare le 10.000 dosi che ci sono state richieste in funzione della sperimentazione, con apparecchiature sofisticatissime necessarie per produrre dei volumi importanti”.
La produzione, così come gli studi che hanno portato alla messa punto del vaccino, avviene nei laboratori dell’Irbm messi a disposizione della joint venture Advent. E’ nata cinque anni fa, al cinquanta per cento di proprietà dell’Irbm e al cinquanta per cento della Okairos, società fondata dal professore napoletano Riccardo Cortese dopo aver lasciato la direzione scientifica dell’Irbm nel 2007. E’ stata la Advent, che da un lustro studia e mette a punto a Pomezia la metodica innovativa ideata da Cortese, a trovare il vaccino per l’ebola che – testato in laboratori sotterranei in un deserto degli Stati Uniti sulle scimmie – ha dato il 100 per 100 di immunizzazione.
Oggi il professor Cortese, dopo aver commentato diffusamente la preziosa scoperta nelle scorse settimane sui media, respinge al mittente ogni richiesta di intervista, protetto dall’ufficio stampa di Okairos. Alla rivista Wired avrebbe addirittura smentito la notizia, riportata lo scorso 3 ottobre dai giornali italiani, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha adottato il vaccino ordinando subito le 10.000 dosi per la sperimentazione e, per il futuro, un milione di dosi.
Anche Di Lorenzo su questi aspetti, al momento, preferisce glissare. Nel 2007 ha creduto in Cortese e nel suo team facendo di tutto per riportarlo a Pomezia e mettendogli a disposizione i laboratori Good Manifacturing Practise validati dall’agenzia regolatoria italiana AIFA e dalla statunitense NIH, indispensabili per poter procedere alle sue sperimentazioni.
Dopo che la sua famiglia ha rilevato l’Irbm il primo ottobre 2009, rivendica Di Lorenzo, sono stati richiamati 180 scienziati tra biologi, chimici e farmacologi. “Molti di loro sono italiani con esperienze internazionali. L’età media dei nostri scienziati è di 43 anni, tra loro tanti trentenni che abbiamo riportato qui a Pomezia dall’estero”, sottolinea l’imprenditore senza dimenticare di segnalare che “il settanta per cento dei nostri scienziati sono donne”. “Adesso vorremmo assumere altri 30 ricercatori perchè stiamo aprendo nuove linee di ricerca, le devo confessare che fatichiamo a trovarne con un profilo adatto. Chi viene qui deve avere tutti i requisiti per lavorare in una Ferrari della ricerca”.
Quella che ha portato al vaccino in corso di sperimentazione, in effetti, è solo una delle linee di sperimentazione aperte nei vari laboratori. “In Irbm dieci mesi fa è stato scoperto un metodo per misurare il livello di huntingtina nel sangue, un elemento fondamentale per implementare gli studi relativi al morbo di Huntington”. Impossibile però parlare con qualcuno dei giovani ricercatori italiani rientrati alla base dall’estero, in cerca di storie edificanti di riscatto. “Qualche tempo fa, per premiare i ragazzi migliori, avevamo deciso di pubblicare i loro nomi e i loro curriculum sul nostro sito”, è la spiegazione offerta da Di Lorenzo al suo diniego. “Ma i cacciatori di teste hanno iniziato a contattarli dal giorno dopo per provare a portarceli via”.
E’ concesso, invece, annotare le numerose le partnership con le università snocciolate dall’imprenditore: dalla Sapienza a Tor Vergata, da Padova a Ferrara, ma anche Harvard, Cambridge e Melborune. Per non parlare di quelle avviate con fondazioni statunitensi per gli studi realtivi alle malattie neurodegenerative. “Con la ‘Michael J. Fox Foundation’ portiamo avanti ricerche sul morbo di Parkinson, abbiamo collaborazioni con l”Alzheimer’s Drug Discovery Foundation’ e con la “Melinda and Bill Gates Foundation’ per gli studi sulla malaria”, elenca Di Lorenzo.
Per accendere i riflettori su questo angolo d’eccellenza italiana nascosto dietro il via vai di camion e clacson della Pontina c’è però voluto l’incubo dell’ebola, e il brevetto per il vaccino acquisito dalla multinazionale GSK che ha acquistato la Okairos di Cortese per 250 milioni di euro.
“Il nostro è un piccolo grande miracolo”, chiosa Di Lorenzo. “Nel 2009 qui stava per chiudere tutto anche se un anno prima, proprio in questi laboratori, era nato l’ultimo e più innovativo farmaco per la cura dell’AIDS. Un intero patrimonio di cervelli che poteva andare disperso e che siamo orgogliosi di essere riusciti a salvare”.
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