Napoli, 24 set. (LaPresse) – Inizierà domattina davanti al giudice monocratico del Tribunale di Campobasso Giovanni Falcione il processo che proverà a fare chiarezza sulla sparizione dei gioielli indossati dalla ‘regina dei salotti romani’, Maria Girani, vedova Angiolillo. All’appello manca il Princie, un diamante rosa da 34 carati, battuto all’asta da Christie a New York per 39 milioni di dollari, e svariati tra monili, gioielli e orecchini dal valore indefinito e indefinibile, forse superiore ai 100 milioni di euro, di cui si è persa ogni traccia. Le indagini hanno consentito di recuperare solo pochi pezzi della collezione, quelli ritrovati a Montecarlo, in casa di uno degli imputati, il gemmologo Hervè Luis Fontaine.
Ma il principale imputato del processo è Marco Oreste Bianchi Milella, il figlio che la signora Girani ebbe prima di sposare Renato Angiolillo, ex senatore, fondatore del quotidiano ‘Il Tempo’, morto nel 1973 per un tumore al cervello. Bianchi Milella è accusato di appropriazione indebita e ricettazione aggravata. Secondo il capo d’imputazione scritto dal pm molisano titolare delle indagini, Fabio Papa, il figlio della signora Girani si sarebbe impossessato del Prince Diamonds, di una collana di rubini cabochon di Van Cleef ed Arpels, un anello con zaffiro di Harry Winston, una collana di pietre coltivate di Bulgari, un bracciale-orologio a forma di serpente in oro e diamanti di Bulgari, un altro gioiello a forma di serpente sempre di Bulgari, una collana d’oro con diamanti e rubino di Van Cleef e una coppia di orecchini con rubini, zaffiri e smeraldi.
Tutti di proprietà del senatore Angiolillo e poi, secondo il vecchio diritto di famiglia, alla sua morte trasferiti nella disponibilità della signora Girani solo come ‘custode affidataria’, ed infatti gli atti dell’inchiesta sono corredati da foto tratte dai principali rotocalchi che ritraggono la signora Girani in Angiolillo sfoggiare questi preziosi nel corso delle occasioni mondane. Alla scomparsa della signora Girani, i gioielli dovevano entrare in possesso agli eredi del senatore: l’unico dei figli rimasti in vita, Amedeo Angiolillo, e i nipoti Renato Angiolillo jr., Olga Angiolillo, Patrizia Angiolillo e Luigi Angiolillo. Parti lese del processo avviato in seguito a denuncia contro ignoti di Renato Angiolillo jr, il principale promotore di un’azione giudiziaria coordinata da un pool di legali composto, tra gli altri, dall’avvocato Luigi Iosa e dall’avvocato Pietro Venanzio.
Prima di passare alle denunce, l’avvocato Iosa, con studio in Campobasso, aveva inviato un fax a Bianchi Milella, che aveva libero accesso “ai luoghi abitati dalla madre” (il celeberrimo Villino Giulia con vista su Piazza di Spagna, ndr), chiedendo ragguagli sui gioielli. Bianchi Milella ha risposto, sempre via fax, di non saperne nulla. Questo scambio di missive ha radicato la competenza territoriale dell’inchiesta a Campobasso. L’accusa proverà a dimostrare che Bianchi Milella è riuscito a vendere parte dei preziosi ed ad occultarne i profitti, servendosi in qualche caso della collaborazione di Fontaine.
Le indagini della procura molisana e dei carabinieri – quasi 5.000 pagine tra rogatorie internazionali, estratti conti bancari, intercettazioni telefoniche e verbali di sommarie informazioni testimoniali, molti raccolti all’estero – hanno ricostruito anche parte delle dinamiche interne dell’impero Angiolillo, e la successione dei due testamenti con cui il senatore ed editore dispose delle sue sostanze. Testamenti redatti quando l’aggravarsi del tumore gli impedì persino di apporre la firma, come dichiarato dal notaio che preparò l’atto. Renato Angiolillo indicò Gianni Letta tra gli esecutori testamentari. Letta, che de ‘Il Tempo’ fu direttore, era uno dei principali amici della coppia e dopo la morte del senatore mantenne ottime relazioni con la signora Girani (per tutti la signora Angiolillo), frequentandone assiduamente i salotti. Letta è stato indicato tra i testi del processo sia dall’accusa che dalla difesa. Il 19 aprile 2013 è stato ascoltato durante le indagini dalla Digos di Roma come persona informata dei fatti.
Ha chiarito di essere “coadiutore dell’esecutore, ma solo per la parte che riguardava il quotidiano ‘Il Tempo’, che era il cespite principale dell’eredità”. A precisa domanda sull’esistenza del tesoro Angiolillo, Letta ha risposto: “Non mi sono mai interessato di gioielli o pietre preziose del senatore Angiolillo. Vedevo, come tutti, i gioielli importanti che sua moglie indossava, ma non ho mai saputo nulla di un diamante rosa”. A un’altra domanda su chi detenesse materialmente i preziosi, l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio degli esecutivi di Silvio Berlusconi ha replicato: “Non so nulla in proposito”. Poi Letta ha aggiunto “che della eredità si è discusso a lungo tra tutti gli eredi, ognuno dei quali era assisto da uno o più avvocati. Quando in quelle riunioni si parlava del giornale venivo chiamato anche io”.
Infine, la domanda più delicata, quella sulle condizioni psico-fisiche di Angiolillo, visti i seri problemi di salute al momento di predisporre il testamento: “Ero perfettamente al corrente perché lo frequentavo abitualmente. Colpito da un ictus nel mese di aprile 1973, rimase colpito da una paralisi che gli impediva l’uso della parte destra del corpo. Dopo l’operazione riprese benissimo le sue facoltà mentali, ma non totalmente quelle fisiche. Tornò comunque al giornale e alla sua piena attività nel mese di giugno. Ricordo per esempio che andammo insieme al congresso della Dc all’Eur e questo proprio nel mese di giugno, quando venne di nuovo ricoverato per una metastasi”. Ma sulla scomparsa dei gioielli Letta è categorico: “Nulla so e nulla posso riferire”.